Una manifestazione corale quindi che si costruisce grazie al contributo della rete e che ormai è diventata bene comune degli stessi protagonisti. Ed è a loro che diamo voce in questa giornata finale per tirare le fila di quanto fatto in questa dodicesima edizione, per tracciare la strada dei temi e delle azioni che tutti insieme dobbiamo cominciare a percorrere a partire da domani e che vedremo a Cheese 2021.
Partiamo dalla sfida più grande: accendere i riflettori sulla proposta di naturale secondo Slow Food, che riguarda caci, salumi e pani. Non si tratta di un’idea nostalgica, ma innovativa e strategica per il futuro del cibo, per riconsegnare alla natura ciò che le appartiene, usando tutte le tecnologie che si sono affermate in questi anni, senza però ricorrere a iper-lavorazioni che alterano i processi produttivi.
Naturale è possibile: ce lo hanno detto in questi giorni i casari e gli affinatori che hanno dibattuto le proprie visioni durante gli incontri e hanno risposto alle domande dei moltissimi visitatori, raccontando cosa vuol dire, assaggio alla mano, allevare gli animali al pascolo, produrre formaggi a latte crudo, non ricorrere a fermenti selezionati: «Quando assaggio un formaggio voglio sentire le caratteristiche uniche provenienti da quel singolo caseificio, da quegli animali, da quel pascolo» sostiene Bronwen Percival, direttrice tecnica di Neal’s Yard Dairy, una dei tanti grandi esperti del settore che non perdono mai un’edizione di Cheese. «Oggi tutti possiamo aggiungere fermenti fabbricati a migliaia di chilometri di distanza, che però uccidono i sapori e li rendono tutti uguali. No, grazie, a me non interessano quei formaggi».
Protagonisti d’eccezione dell’edizione 2019 e portatori proprio di questi messaggi sono stati i produttori fermier che hanno animato e reso unica l’area Piccoli&Naturali. «Finalmente è arrivato a Cheese uno spazio tutto per noi» commenta Daniela Saglietti, della Robiola di Roccaverano, Presidio Slow Food, «in cui dare voce a chi trasforma solo il latte dei propri animali e spesso non ha la possibilità e le quantità di prodotto necessarie per partecipare a eventi come questo». E altri produttori fermier sottolineano che «sarebbe importante per noi l’aiuto di Slow Food per ampliare ulteriormente la nostra capacità di distribuzione, rivalutando le botteghe locali e sperimentando nuove prospettive di mercato».
Il dibattito sul naturale, ultima evoluzione della ormai ventennale battaglia sul latte crudo, ha aperto quindi nuove prospettive per il futuro e ambiti da approfondire, grazie anche al contributo dato da ricercatori, studiosi, agronomi, veterinari, nutrizionisti. Pascoli ben curati e brucati dagli erbivori (che per l’appunto dovrebbero nutrirsi di erba e non di insilati) hanno la capacità di immagazzinare più CO2 di un bosco, ed è ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento per fronteggiare la crisi climatica. E poi permettono di conservare il paesaggio; rafforzano la biodiversità della flora e della fauna; rendono le zone montane fruibili e rappresentano una risposta alla crisi della montagna dovuta al suo spopolamento; contribuiscono a generare una proposta turistica in armonia con il territorio; consentono di ricostituire comunità e nuove opportunità di lavoro nelle aree interne.
Per far sì che il pensiero elaborato da Slow Food e diffuso nel mondo grazie a Cheese e alla sua rete si diffonda quanto più possibile, l’Università di Scienze Gastronomiche ha presentato il primo master internazionale annuale in Raw Milk and Cheese, che da gennaio 2021 ospiterà nell’ateneo di Pollenzo decine di studenti da tutto il mondo per imparare l’arte della caseificazione naturale. La proposta del master è stata accolta con entusiasmo dalla rete degli affinatori presenti a Cheese, che saranno tra i partner più attivi dei corsi: «È molto importante per l’avvenire del nostro mestiere e del nostro settore poter trasferire il nostro savoir faire e far acquisire competenze a una generazione a volte incerta sulla propria identità e sul futuro, dando loro la possibilità di realizzarsi in un mestiere. La vita ha un senso quando abbiamo uno scopo e il lavoro è sovente ciò che ci permette di esistere e di vivere» ha commentato Hervé Mons, il più grande affinatore francese, espositore di Cheese fin dalle prime edizioni.
L’idea del naturale e della qualità dei formaggi contagia non solo ambiente, salute ed educazione, ma anche la politica.
Con la ricerca Le denominazioni europee tra valori identitari e mercato, Slow Food ha sottoposto a esponenti italiani ed europei un tema delicato e particolarmente urgente: serve riprendere in mano la normativa che regola le denominazioni per rendere il regolamento più rigoroso e garantire un’autentica qualità e identità alle produzioni tradizionali. Tema questo affrontato anche dalla neo eletta Presidente della Commissione europea Von der Leyen e ripreso a Bra nelle parole del vice capo dell’Unità Indicazioni Geografiche della DG Agri, Branka Tome, che intervenendo a Cheese sottolinea come «Slow Food ha avuto il coraggio di esaminare a fondo tutti i 236 disciplinari dei formaggi europei a denominazione di origine, mettendone in evidenza le distorsioni. La prima cosa che faremo adesso sarà creare una identity card per ogni prodotto in modo che sia possibile avere informazioni dettagliate per i consumatori». Il lavoro della Chiocciola ovviamente non si ferma qui: dopo l’analisi dei disciplinari del settore caseario adesso i riflettori sono puntati sui salumi, approfondendo temi come salute dei consumatori, benessere animale e qualità dei prodotti.
Insomma, in questi quattro giorni in cui Cheese ha come sempre contagiato tutti con la sua atmosfera di festa, si sono lanciate mille sfide, stretto alleanze e promesse di collaborazione, piantato semi che sicuramente porteranno a lavorare con entusiasmo alla prossima edizione, per un mondo ancora più naturale.