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Cesare Tacchi (1940-2014) un grande protagonista dell’Arte italiana

Sécrétaire (1980) un quadro dal contenuto misterioso e criptico, ha rappresentato per l’artista il ritorno alla pittura alla metà degli anni settanta, dopo il periodo della Pop Art e dopo il periodo concettuale. (FOTO 1)

Cesare Tacchi (Roma, 1940-2014) un grande interprete visivo del secondo dopoguerra italiano, con uno stile unico, una personale riflessione sull’arte dotata di ironia e gusto del paradosso; lavorò all’interno del dibattito culturale artistico romano nella celebre Scuola di Piazza del Popolo. Oggi Roma gli rende omaggio con un’importante retrospettiva, a poco più di tre anni dalla sua scomparsa. – La mostra “Cesare Tacchi (1940-2014). Una retrospettiva” – è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale, ideata, prodotta ed organizzata da Azienda Speciale Palaexpo, realizzata in collaborazione con l’Archivio Cesare Tacchi, a cura di Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi. Palazzo delle Esposizioni fino al 6 maggio 2018.

A soli diciannove anni esordì nel 1959, insieme a Mario Schifano e Renato Mambor alla Galleria Appia Antica di Roma. Negli anni Sessanta partecipò a numerose mostre personali e collettive, esponendo spesso alla galleria La Tartaruga e diventando uno degli artisti protagonisti della Pop Art italiana, “i 13 pittori a Roma”, insieme a Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Pino Pascali, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Mario Ceroli. Ritratto dalla critica nel 1959 come “un giovane solitario, silenzioso e castigato”, Tacchi non mutò con gli anni il suo atteggiamento, ma questa predisposizione all’introspezione, gli permise maggiormente di catturare contraddizioni ed aspetti originali della realtà culturale dell’epoca.

Questa retrospettiva si configura quindi come un’occasione per far conoscere meglio un artista, per anni rimasto poi ai margini della cronaca. In mostra non solo i lavori di spicco, ma anche alcune sue opere meno conosciute, prodotte agli albori della sua carriera, affiancati alle serie di maggior successo; quella degli smalti su tela, in cui dettagli di Roma sono restituiti da un veloce sguardo dall’interno di automobili. Infine le cosiddette e celebri “tappezzerie”, una serie dedicata ad un’umanità rilassata e tradotta in una grafia come al negativo, catturata in effige nella stoffa colorata ed imbottita dei salotti e dei letti, sui quali si è momentaneamente abbandonata.

foto di Valter Sambucini

Queste opere sono le più rilevanti, anche per dimensioni; rappresentano figure catturate in un tessuto variamente decorato in altorilievo, ironico ed elegante, ispirato a temi “floreali” ripresi da Botticelli e Pisanello, le famose icone della storia dell’arte italiana, come la Primavera (del Botticelli), rinominata La primavera allegra, della Collezione Maramotti di Reggio Emilia. Queste sono precedute dai suoi primi quadri imbottiti, Poltrona gialla e Poltrona rossa (1964). Dal bordo superiore destro della prima, sbuca una mano che indica o si protende verso la poltrona. Interpretata come mano segnaletica, nera come alcuni personaggi negativi, che si mescolano ad altri estremamente colorati, sembra un tentativo dell’artista di uscire dal quadro, in linea con altre ricerche del genere teorizzate da altri pittori di quel periodo.

foto di Valter Sambucini

Più di 100 sue opere tracciano un percorso ordinato cronologicamente nelle grandi sale del Palazzo delle Esposizioni intorno alla Rotonda dove, in occasione della retrospettiva, è visibile su diverse postazioni la video-intervista: Le primavere pop di Cesare Tacchi – realizzata da Antonello Matarazzo nel 2007. Dietro l’intervistato il celebre quadro trasformato in un bassorilievo-patchwork imbottito, mentre l’artista racconta l’originalità della Pop Art italiana, vissuta come una di frattura tra la classicità dell’arte e le nuove tendenze provenienti dall’America, cioè di quando c’era una sorta di gara dove ognuno doveva fare la cosa più sorprendente possibile per rompere col passato. Cita per esempio Mimmo Rotella, che aveva cominciato come per gioco, a strappare i manifesti pubblicitari per strada; lui stesso però si pone dalla parte dell’artigianalità nei materiali utilizzati, definendo Mario Ceroli falegname e se stesso come tappezziere. Tacchi inoltre parla del suo rapporto di amicizia con Mambor e Lombardo, mentre con gli altri c’era una questione di pura contingenza, poiché a Roma in quegli anni, arrivavano tantissimi artisti e si potevano fare anche grandi incontri. Roma per alcuni anni era diventata infatti, il fulcro mondiale dell’arte e perfino Duchamp si era presentato una volta alla Galleria La Tartaruga. Non smentendosi Tacchi, considerato unanimemente un artista serio e solitario, si definisce ancora in questa intervista, persona interessata a fare soprattutto il suo mestiere.

foto di Valter Sambucini

Il 1967 è l’anno in cui Maurizio Calvesi dichiarò conclusa l’esperienza della Scuola di Piazza del Popolo mentre prendeva l’avvio l’Arte Povera. Tacchi fu tra gli artisti invitati da Germano Celant a partecipare a questa nuova tendenza ed espose la Poltrona inutile (1967). Sono protagonisti di questo suo periodo oggetti d’uso comune, ai quali però viene negata ogni funzione d’uso, una continuità tridimensionale della sua ricerca che denunciava l’invasione degli oggetti come elementi di arredo impossibili, come le porte che non si aprono ecc Anche la grande Cornice, proveniente da La Galleria Nazionale, non incornicia alcun quadro, ma rimanda solo a se stessa ed al vuoto che contiene. Così Tacchi definiva questa serie di opere – “dalla negazione narcisistica di me stesso, negavano anche le immagini, le funzioni e, in definitiva, il mondo”. 

foto di Valter Sambucini

Nel maggio del 1968, con l’happening cancellazione d’artista eseguita nel corso del “Teatro delle Mostre”, alla Galleria La Tartaruga di Roma, Tacchi sceglie l’azione. Dietro un vetro trasparente, gradualmente “cancella” la sua figura stendendo un velo di pittura sul diaframma che lo separa dal pubblico. E’ qui riproposto in mostra, attraverso un “reperto” proveniente dalla collezione delle eredi del gallerista Plinio De Martiis, che permette ai visitatori del Palazzo delle Esposizioni di compiere un’esperienza che si avvicina a quella vissuta dai visitatori de La Tartaruga, nel momento finale dell’azione. La Cancellazione d’artista, rappresentò un sentire comune in quegli anni, in cui il gesto del cancellare fu adottato da molti altri, fra i quali Emilio Isgrò. L’artista sviluppa in seguito nuove azioni come (Cesare Tacchi + Mario Diacono) presentate agli Incontri Internazionali d’Arte nelle rassegne curate da Achille Bonito Oliva nel 1972 o alla Libreria Arcana su invito di Mario Diacono. Qui in mostra è presentata una selezione significativa di opere di stampo “concettuale” realizzate nei primi anni Settanta, nelle quali la possibilità comunicativa del linguaggio visivo viene messa duramente alla prova.

Il quadro Sécrétaire invece (FOTO 1) occupa un posto particolare nella produzione dell’artista, che lo considera all’origine di tutti i suoi lavori successivi. In varie occasioni Tacchi aveva insistito sulla necessità di decodificare il quadro, dal momento che egli stesso lo aveva pensato come “il luogo dei segreti e contemporaneamente la ‘secrezione’ materica della pittura”. Proprio a questi due significati allude la parola Sécrétaire, dipinta al centro della tela, parola dove l’artista ha messo volutamente due accenti. L’artista sembra però anche voler mantenere segreta la chiave del quadro, rivelando solamente che è stato dipinto guardando a una foto scattata a Villa Pamphili. Nella foto era ritratto in compagnia di un amico, due figure di spalle dei quali quella a sinistra è l’immagine del pittore; l’altra, che con la mano destra impugna una specie di cartella, è diventato il ‘Segretario’, ovvero il depositario dei segreti. I fogli rappresentati in primo piano sembrano virtualmente dar vita a uno spazio liminare, forse un ponte che separa la realtà dalla finzione o che potrebbe separare la parola dall’immagine, ma un ponte che non potrà in alcun modo essere oltrepassato.

L’ultima sala della mostra è dedicata ai grandi dipinti realizzati a partire dagli anni Ottanta, espressioni felici di un nuovo linguaggio e di un artista che, da essere misterioso testimone, ha avuto la forza creativa e la capacità di rinnovarsi. La mostra è accompagnata da un catalogo a cura di Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi che include i saggi delle curatrici, le tavole e le schede delle opere esposte, un’antologia di testi critici dedicati all’artista, una selezione dei suoi scritti (molti dei quali inediti), un’estesa cronologia e una sezione di apparati espositivo-bibliografici.

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