Il 29 agosto 1987, per la prima volta nella storia, gli appassionati di musica degli Stati Uniti vedono il nome di Marx ai primi posti della classifica dei dischi più venduti nel loro paese. Non si tratta del famosissimo e austero Karl, ma del più giovane e fino a quel momento meno conosciuto Richard, che è riuscito a ottenere il suo primo successo commerciale con il singolo Don’t mean nothing, realizzato in collaborazione con Joe Walsh.
La capacità di anticipare i gusti del pubblico
Nonostante la giovane età il ventitreenne cantautore non è un novellino. Figlio d’arte nasce nel 1964 a Chicago e porta lo stesso nome del padre, un bravo e apprezzato pianista jazz costretto a comporre jingles pubblicitari per sopravvivere. Attratto dalla musica e consapevole della necessità di dover contribuire al sostentamento della famiglia, anche il giovane Richard si fa coinvolgere dalle iniziative del genitore, cantando motivi destinati a far da sottofondo a spot televisivi. Quando sembra che questo debba essere il suo destino Lionel Richie, sorpreso dalla sua voce, lo inserisce come corista nella sua band. Il ragazzo utilizza il tempo libero per scrivere qualche canzone. Non ha ancora compiuto vent’anni ed è già un autore di successo. A trarre vantaggio dal suo talento creativo sono artisti come i Chicago, Philip Bailey, Kenny Rogers e altri. Brano dopo brano la sua fama nell’ambiente musicale cresce e davanti alla sua porta si allunga la fila dei personaggi che si rivolgono a lui per avere un brano. Bravura o fortuna? Probabilmente tutte e due, anche se alla base del suo lavoro c’è, in quel periodo, un’innegabile capacità di anticipare i gusti del pubblico mettendone in musica gli umori.
Perché non le canti tu?
Più il tempo passa e più chi gli sta vicino non capisce perché non senta il desiderio di incidere lui stesso i brani che compone. C’è, nel suo atteggiamento, la consapevolezza che un cambiamento non fortunato potrebbe costringerlo a ripartire da capo. Più che la paura di un insuccesso, teme di dover ricominciare. Per questo s’accontenta, come suo padre. La situazione sembra non avere sbocchi finché, nel 1986, qualcuno trova il coraggio di parlargli in tono un po’ più brusco. «Hey, Richard, tu hai la testa dura, ragazzo. Dico davvero: hai la testa più dura di un sasso. Hai una bella voce, componi canzoni che fanno impazzire la gente, perché non le canti tu? Cosa te lo impedisce?» È Bobby Colomby, l’ex batterista, percussionista e cantante dei Blood Sweat & Tears, uno dei gruppi d’avanguardia degli anni Sessanta, al confine tra il rock e il jazz orchestrale. Il suo intervento convince Richard Marx a provarci. Non sarà tempo perso e non dovrà ricominciare da capo. I suoi singoli d’esordio, il già citato Don’t mean nothing, Should’ve know better, Endless summer night e Hold on to the night lo faranno entrare nella storia del pop americano per essere stato fino a quel momento l’unico interprete capace di piazzare tutti i suoi primi quattro dischi ai primi tre posti della classifica statunitense.