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Brexit: i rischi sulla legislazione ambientale europea

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Brexit

Da qualche giorno gli italiani hanno aggiunto un nuovo vocabolo al loro ricchissimo lessico: “brexit”. Che significa: gli inglesi hanno votato “no” e sono usciti dall’Unione europea. E apriti cielo! I giornali non parlano d’altro! Sui social network abbondano i post di commento dove trova spazio il neologismo “brexit”. Ma la questione che qui più ci interessa è un’altra: il rapporto tra la brexit e l’ambiente. Quali ripercussioni avrà l’uscita britannica dalla Ue sulle “politiche ambientali”?

Brexit, quali saranno le ripercussioni sulle “politiche ambientali”

Premesso che gli inglesi hanno il diritto di scegliere con chi stare – anche se pare siano già state raccolte in brevissimo tempo ben due milioni di firme per un nuovo referendum – , è lecito tuttavia supporre che all’interno della cabina elettorale abbiano pensato poco sui pro e i contro. Va sottolineato che l’esito della consultazione popolare, in termini strettamente legali, potrebbe non vincolare il Parlamento inglese, il solo a decidere. Ma, ovviamente, sarebbe impensabile che l’organo della rappresentanza popolare per eccellenza non tenga conto della volontà espressa dai cittadini d’oltremanica.

Il primo impegno del dopo brexit starà nella definizione, tra il governo inglese e i burocrati di Bruxelles, delle modalità di uscita dall’Unione europea. I membri del parlamento inglese, forse, non si azzarderanno a toccare le regole sulle esportazioni verso l’Europa. E’ possibile ipotizzare, infatti, che preferiranno rimanere in buoni rapporti con Bruxelles, esattamente come fanno paesi come la Norvegia e l’Islanda. Potrebbero rimanere, salvo ipotesi estreme, membri dell’Area economica europea (EEA). In questo modo molte leggi sull’ambiente continuerebbero ad essere in vigore nel Regno Unito. I più maligni, a tal proposito, sostengono che verranno mantenute le leggi peggiori a danno di quelle migliori dal punto di vista della tutela ambientale. Ovviamente si spera che non si arriverà a questo. Che i parlamentari inglesi non si metteranno in testa di percorrere a briglie sciolte la strada della deregulation, della deregolamentazione delle norme sulla tutela ambientale in nome di una forte avversione alla burocrazia europea. Si può accusare l’Europa di tutto, ma è innegabile che abbia le migliori leggi al mondo per la difesa dell’ambiente.

Brexit e ambiente

Tra gli effetti dell’uscita inglese sul piano ambientale l’ipotesi più seriamente presa in considerazione è quella del mantenimento degli standard di qualità imposti dalla Ue in Gran Bretagna per accedere così al mercato unico europeo.  Ma c’è anche un’altra opzione. E cioè che la Gran Bretagna possa dare luogo ad accordi con i paesi emergenti sulla base delle normative del Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio). A questa ipotesi si potrebbe aggiungere la rinuncia a molti degli obblighi ambientali imposti da Bruxelles; e un negoziato con gli Stati Uniti sul modello del mostruoso accordo neoliberista – non ancora approvato dall’Europa – denominato TTIP (il trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico che ha come obiettivo quello di trasformare le regolamentazioni e gli standard, ovvero le “barriere non tariffarie”, e di eliminare dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti per creare un commercio privo di ostacoli).

Per alcuni gli standard europei in materia ambientale sono come il fumo negli occhi. E’ innegabile sostenere che le norme europee sono le più avanzate al mondo. Non sempre rispettate, ma comunque hanno avuto il loro gran peso nel fermare l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, nella protezione di molte specie animali e, soprattutto, hanno imposto forti barriere contro l’utilizzo delle coltivazioni geneticamente modificate e i fertilizzanti chimici. Questo ha prodotto ripercussioni, a nostro avviso positive, verso tutti quei paesi che commerciano con l’Europa. Per inviarci i loro prodotti sono stati costretti ad adeguarsi ai nostri standard. Quegli stessi standard dai quali molti pensano che la Gran Bretagna potrebbe allontanarsi.

Va detto, inoltre, che non sempre la Gran Bretagna è stata rispettosa degli standard europei in materia ambientale. Per esempio sul fronte della qualità dell’aria. I governi inglesi su questo problema non sempre sono stati “inglesi”. C’è stato addirittura bisogno di un intervento della Corte suprema britannica per indurre Downing street al rispetto degli european standard.

A rischio di mancato rispetto anche la Direttiva europea sull’energia rinnovabile? Vale a dire quel dispositivo normativo dell’Unione europea che prevede la conversione del 20 per cento della produzione energetica in energia proveniente da fonti rinnovabili entro il 2020. Insomma, le ipotesi sono molte. La brexit ha allarmato i cittadini e i mercati europei e c’è molta paura sul futuro immediato. Sta all’Unione europea, adesso, riprendere il suo cammino per non rischiare la sua stessa esistenza: un cammino possibilmente diverso. Prima che il virus dell’exit infetti qualche altro paese.