Le emissioni di CO2 nell’intero ciclo di vita di un’auto elettrica (dalla produzione all’utilizzo fino allo smaltimento), dato il mix elettrico medio europeo, sono del 55% inferiori rispetto a quelle di un veicolo endotermico di pari peso e potenza alimentato a benzina, e del 47% inferiori nel caso di un veicolo diesel.
Lo spiega in un comunicato ripreso dall’Ansa il think tank sul clima Ecco, in occasione del dibattito sul bando europeo dei motori endotermici al 2035. Ecco cita uno studio del 2020 curato da Ricardo Energy&Environment per la Commissione Europea sulla “Life Cycle Assessment” (valutazione sul ciclo di vita, Lca) dell’auto elettrica.
Queste differenze aumentano ulteriormente in uno scenario di incremento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, aggiunge Ecco: al 2030 la riduzione delle emissioni risulta del 72%, e in uno scenario al 2050 compatibile col mantenimento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, la riduzione arriva all’80%.
Altre analisi indipendenti più recenti sul “Life Cycle Assessment”, condotte dall’International Council of Clean Transportation (Icct) nel 2021 e da Transport and Environment (T&E) nel 2022, giungono a conclusioni molto simili a quelle di Ricardo Energy&Environment. I tre studi in sostanza smentiscono la fake new molto diffusa secondo la quale le emissioni di un’auto elettrica nell’intero ciclo di vita (compresi produzione e smaltimento, non solo nell’utilizzo) sarebbero superiori a quelli di un’auto a motore endotermico.
La falsa convinzione nasce dal fatto che l’estrazione dei materiali per la costruzione delle batterie di trazione effettivamente emette molta CO2, specialmente in Cina, dove l’elettricità viene in gran parte dal carbone. Molte auto elettriche poi vengono prodotte nel Paese del Dragone, e anche in questo caso il mix elettrico “sporco” fa sì che la costruzione abbia forti emissioni. Secondo una ricerca del 2022 della Fondazione Caracciolo (il centro studi dell’Aci) e dell’Università Guglielmo Marconi, un’auto elettrica prodotta in Cina ha un’impronta carbonica superiore del 35% rispetto ad una prodotta in Europa, dove si utilizza più energia verde. La stessa ricerca dimostra però come l’e-auto produca comunque meno emissioni di una a motore endotermico. Una Smart elettrica costruita e alimentata al 100% con elettricità da fonti rinnovabili produce 29 volte meno CO2 di una Smart a benzina. Ma anche nello scenario peggiore, quando la stessa Smart elettrica viene prodotta e alimentata con un mix energetico “sporco”, con le fonti fossili sopra il 70%, le sue emissioni nell’intero ciclo di vita sono pari, e non superiori, a quelle della stessa auto a benzina. Ecco cita poi la ricerca del Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea del 2020 sulle emissioni di CO2 delle auto legate soltanto all’utilizzo. Sono le emissioni “dirette e indirette” o “dal pozzo alla ruota” (well to wheel): mettono insieme quelle allo scarico e quelle associate al ciclo di produzione dei combustibili o dell’elettricità consumati. A mix elettrico attuale nella Ue, le emissioni di CO2 “well to-wheel” di un veicolo elettrico risultano fino al 75% inferiori rispetto a quelle generate da un veicolo analogo a combustione interna alimentato con carburanti di origine fossile, e di circa il 25% inferiori rispetto a un veicolo ibrido plug-in. Un’auto elettrica ha consumi fino a 4 volte più bassi rispetto a quelli di un’auto a combustione interna di pari potenza e dimensioni, e fino al doppio rispetto un’auto ibrida plug-in. In altri termini, a parità di energia consumata, un’auto elettrica percorre quattro volte la distanza percorsa da un’auto a benzina.
Cassa Depositi e Prestiti, l’Ue può ricavare metà del litio e del cobalto dal riciclo. Al 2040, tramite il riciclo delle batterie esauste, la Ue potrebbe soddisfare oltre la metà della domanda di litio (52%) e di cobalto (58%) attivata dalla mobilità elettrica. Lo sostiene una ricerca di Cassa Depositi e Prestiti, “Transizione ecologica e digitale: il punto sulle materie prime critiche”. Secondo lo studio, offre potenzialità interessanti il riciclo dei prodotti tecnologici dismessi, in forte crescita e a elevata concentrazione di materie prime critiche, come litio, cobalto, baauxite e terre rare. Altro settore promettente è quello dei rifiuti estrattivi, in Italia stoccati in grandi quantità, e possibile fonte alternativa di materie prime seconde. Il riciclo da sé non è però sufficiente ad assicurare l’autonomia strategica della Ue, prosegue Cdp. I paesi dell’Unione europea hanno una dipendenza dalle importazioni di queste materie superiore all’80%. Secondo le stime della Commissione Europea, al 2050 la domanda annua di litio da parte della Ue potrebbe aumentare di 56 volte rispetto ai livelli attuali, quella di cobalto di 15, mentre per le terre rare potrebbe decuplicare. La Ue risulta, dunque, esposta a potenziali interruzioni nelle forniture di materie prime critiche, a causa della limitata produzione interna e della dipendenza dagli approvvigionamenti da Paesi caratterizzati da elevato rischio geopolitico. Secondo la ricerca di Cdp, sono necessari investimenti in tecnologie, capacità e competenze per gestire all’interno dei confini comunitari il ciclo di vita delle materie prime critiche. La ricerca auspica il rilancio delle attività di estrazione mineraria in chiave sostenibile sul territorio comunitario e partenariati strategici con Paesi terzi ricchi di materie prime critiche.
Il tema è al centro del dibattito europeo e dovrebbe portare, nel mese di marzo, all’emanazione dello European Critical Raw Materials Act, incentrato sulla diversificazione degli approvvigionamenti e sulla promozione della circolarità. Anche in Italia, proprio nei giorni scorsi, è stato attivato il “Tavolo nazionale per le materie critiche” promosso nel nuovo format dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy e dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, con tutti gli attori pubblici e privati.