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Arte e identità con Gazzè nell’Estate romana 2017

Gazzè

Da sinistra Max Gazzè al Theremin e Marco Manzo, dietro la scultura di Alessandro Di Cola (foto di Valter Sambucini)

Riceviamo dalla collega Carla Guidi e volentieri pubblichiamo il seguente articolo sull’Estate romana e su un’iniziativa artistica e culturale del famoso cantante Max Gazzè.

La frescura notturna invita a scendere al Lungotevere “fatato”, soprattutto in quel tratto di banchine da Ponte Sublicio a Ponte Sisto, per l’occasione resa spettacolare ed apprezzata attrattiva dell’estate romana. “La magica” Isola Tiberina, ancora portatrice di quello che rimane delle insegne della nave di Esculapio (che traghettò il dio Serpente facendo sgorgare la sorgente che curava ogni male) risplende di luci colorate ma non aggressive, perché l’identità di Roma passa ancora da qui, a partire dall’antico nome etrusco del Tevere; Rumon. La quindicesima edizione di quest’anno è dedicata al nostro Pianeta, al quale dovremmo riservare tutta la nostra cura ed attenzione. La manifestazione Lungo Il Tevere Roma 2017 è a ingresso libero, ogni sera a partire dalle 19,00 fino al 28 Agosto. Tutto il percorso è accessibile ai disabili. L’ingresso per i disabili è presso la discesa di Lungotevere Ripa.

Max Gazzè protagonista di un’opera collettiva con Marco Manzo e Alessandro di Cola a Lungo Il Tevere Roma 2017

In questo contesto, oltre alle bancarelle e gli stand gastronomici, per una completa offerta di intrattenimento serale. sono in atto molte attività culturali. L’assoluta novità di quest’anno è un’opera artistica collettiva ed interattiva, eletta a simbolo della manifestazione ad opera degli artisti Marco Manzo (tatuatore), Alessandro Di Cola, (scultore, pittore e designer) e Max Gazzè, (noto cantautore, bassista ed attore). È un’opera che approfondisce ed esprime, per suscitare riflessione e reazione, la natura relazionale dell’arte. Non nel senso prettamente critico e politico utilizzato da Piero Gilardi (al quale il Maxxi di Roma sta dedicando in questi giorni una grande monografica) bensì quasi a completamento del lavoro di questo artista, coinvolgendo la parte più intima ed oscura degli esseri umani, quella spirituale e musicale. Una forma di meditazione pubblica nel tentativo di ridefinire la nostra vita nel condividere armonia e rispetto per noi stessi, i nostri simili e l’ambiente. In qualche modo aspirando a conseguire, con altri mezzi, il significato espresso dalla celebre frase dello stesso Gilardi: “L’Arte deve entrare nella vita, ma dato che la vita è alienata, occorre impegnarsi anche a liberare e disalienare la vita”.

Scultura “Endeavour”di Marco Manzo e Alessandro Di Cola esposta al Museo Macro Testaccio nel 2016 (Foto di Valter Sambucini)

Si tratta di un’istallazione scultorea semi-circolare, formata da 27 piatti traforati, strutturati e montati a rappresentare simbolicamente un corpo umano attraverso i suoi principali Chakra (parola sanscrita che significa “ruota” o “vortice, ovvero centri che ricevono ed emanano l’energia della forza vitale, collegando il corpo fisico a quello eterico) secondo un sistema terapeutico/filosofico nato in India oltre quattromila anni fa. Il funzionamento armonico dei diversi Chakra fa sì che l’energia, spirituale, fisica od emotiva, fluisca attraverso questi vortici da dentro a fuori e viceversa. Sono i nostri silenziosi alleati, soprattutto nei rapporti tra il nostro Sé e la comunità delle persone con le quali viviamo. In questa scultura vibrante, le superfici metalliche catturano la luce ed i riflessi di tutte le innumerevoli fonti luminose, diurne e notturne, moltiplicandole sull’acqua del Tevere, per riprodurne i giochi in tutte le direzioni spaziali possibili, come un effimero e vibrante effetto tatuaggio, sulla pelle, sui vestiti, sugli oggetti circostanti. Queste forme mandaliche, di lucido metallo, sono una risposta amplificativo-visiva alle forme decorative, i ricami circolari dello stile detto “ornamentale” del tatuatore/artista Marco Manzo, pluripremiato in convention del settore e docente nei corsi professionali nella prima scuola di formazione in Italia, A.R.S estetica, maestro del tribale e dello stile 3D. Le sue opere, pezzi unici adattati al corpo di ogni singola persona per renderla più armonica ed elegante, sono entrate in alcuni dei più importanti Musei di Arte Contemporanea, tra i quali Il MAXXI di Roma, Gagosian Gallery a New York. Per questa opera interattiva invece, per la parte musicale/concettuale che non poteva mancare, Marco Manzo ha coinvolto Max Gazzè, conosciuto ed amato cantautore. Lui ha posizionato, all’interno dell’abbraccio della scultura vibrante, un Theremin, strumento musicale elettronico che, per emettere suoni, non prevede il contatto fisico dell’esecutore (inventato nel 1919 dal fisico sovietico Lev Sergeevič Termen). Questo particolare strumento, il Theremin, è composto fondamentalmente da due antenne, poste sopra e a lato di un contenitore nel quale è alloggiata tutta l’elettronica. Il suono vibrante scaturisce muovendo le mani vicino alle antenne, delle quali quella superiore controlla l’altezza del suono, mentre quella laterale permette di regolarne l’intensità. Con questo Theremin è considerato molto difficile produrre discorsi musicali coerenti, naturalmente invece chiunque, anche digiuno di strumentistica, potrà ottenere suoni enigmatici ma scomposti, poiché i suoni, non emergono dal tocco, ma dalla prossemica. Così, senza alcun riferimento visivo o tattile, solo i musicisti dotati si pongono efficacemente in contatto con l’invisibile, attraverso una sensibilità per così dire propriocettiva, riuscendo ad estrarne suoni davvero prodigiosi e melodie complesse che ricordano i virtuosismi del violino o addirittura della voce umana. Ma la novità del complesso artistico-interattivo del Theremin e della scultura vibrante, è che “reagisce” al pubblico che vi si avvicina, vivamente invitato a farlo dagli autori.

Modella tatuata da Marco Manzo (Foto di Valter Sambucini)

Nell’arco della permanenza di tutta la manifestazione, l’intento del progetto è anche quello di coinvolgere esponenti di diverse forme artistiche, come fotografi, videomaker e scultori, che daranno via via il loro contributo, creando contemporaneamente effetti sonori e visivi. Tra questi Artur Czerwinski e Valter Sambucini sono già intervenuti; quest’ultimo ha fotografato alcune ragazze tatuate da Marco Manzo, inserendole nel contesto dell’opera esposta (in foto). Manzo Manzo ha già lavorato precedentemente in fusion con il citato Alessandro Di Cola, in occasione della mostra Tattoo Forever della quale è stato direttore artistico, tenutasi lo scorso anno al Macro di Testaccio, dove hanno realizzato “Endeavour”, un mondo in alluminio e grafite che riporta incisi nei continenti, i motivi ornamentali del suo stile di tatuaggio. Una collaborazione pensata dai creatori con il titolo “Arte per fare Arte”, dove vale soprattutto il concetto che un’opera non è mai fine a sé stessa, ma si rinnova nell’interazione, così come per l’altra operazione effettuata nella stessa mostra, quando Marco Manzo ha tatuato, sopra una patina d’oro, il suo strumento di lavoro, la macchinetta Cheyenne Pen Gold. È un rimando speculare, quasi un ritmo visivo, che rivela quanto il corpo oggi voglia essere liberato dall’ossessione d’essere manipolato o trasformato con violenza chirurgica, ma voglia essere incluso nel linguaggio dell’estetica, rivestendo la sua sempre più incessante nudità, indotta dai media, o semplicemente reso originale, personalizzato ed illustrato ad Arte. Di prossima pubblicazione un testo di chi scrive, con prefazione del sociologo Franco Ferrarotti e dello storico dell’arte Giorgio Di Genova, che sostiene come alcune forme d’arte attuali, come il tatuaggio e la street art, drammatizzino quasi specularmente sulla pelle (degli individui e quella delle città in cui ci affolliamo sempre in maggior numero) questo desiderio d’identità, personale o collettiva, cogliendo tra le immagini interattive che ci circondano, specialmente sul web, quelle più significative e simbolicamente più soddisfacenti, quasi degli archetipi junghiani, per ri-avvicinaci ad una Realtà sempre più sfuggente, ad una Memoria negata. Tutto questo all’insegna dell’influenza reciproca delle culture e delle etnie che, attraverso l’arte, anziché impoverirsi o collidere tra loro, raggiungono una combinatoria simbolica ed interpretativa ad un livello più elevato, in un maggior grado di espressività e di significanza, linguistica ed estetica. In un periodo storico come il nostro, all’interno di una complessa era digitale, l’interattività in generale è pane quotidiano e lezione del futuro. Soprattutto nell’arte o nelle arti è posizione essenziale da cogliere per interpretare i cambiamenti a cui stiamo assistendo, sulla nuova concezione del tempo e dello spazio. L’opera collettiva ed interattiva di Marco Manzo, Alessandro Di Cola e Max Gazzè è situata subito alla fine della scalinata dopo l’ingresso principale della manifestazione, accessibile da piazza G. Gioacchino Belli. L’opera è stata inaugurata il giorno 21 giugno ore 20,30 con l’intervento della stampa e dello storico dell’Arte Giorgio Di Genova che ha così commentato: Apprezzo l’opera che Marco Manzo ha ideato, nella quale concorrono tatuaggi artistici su corpi femminili, scultura che riecheggia le morfologie di questi mandala molto vari che a volte fanno pensare a decorazioni indiane e sonorità prodotta da un musicista contemporaneo, perché è per certi versi in linea con l’idea di opera d’arte totale propugnata da Wagner. Per quanto riguarda i tatuaggi, essi sono i lontanissimi discendenti degli “imbrattamenti” corporali che, nell’epoca tribale, venivano praticati dai guerrieri per terrorizzare i nemici. E forse questo può aiutare a spiegare perché i calciatori, che sono i combattenti che si affrontano negli stadi odierni, amano farsi tatuare i corpi. Questo, come tanti altri aspetti (i piercing, la street art, ecc.), mi conferma nella convinzione che il presente è gravido di passato.

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