Il 10 ottobre 1936 nasce a Lucca il pianista e vibrafonista Antonello Vannucchi, uno dei personaggi più eclettici della scena jazz italiana del Novecento.
Il vibrafono per protesta
A otto anni Vannucchi inizia lo studio della fisarmonica. A undici si iscrive al corso di pianoforte presso il conservatorio di Lucca dove si diplomerà nel 1961. Le prime esperienze jazz risalgono al 1954 al Circolo del jazz di Lucca. Nel 1955 è tra i promotori del Quintetto Moderno del Circolo del Jazz di Lucca dove passa al vibrafono. Anni dopo spiegherà così questa decisione «La passione per il vibrafono è nata per due motivi: uno perché il direttore del Conservatorio di Lucca mi aveva espulso, dato che mi ero esibito col pianoforte nei locali suonando musica leggera (leggi assurde di quell’epoca!). Ho trovato così lo stratagemma di cambiare lo strumento… saltando così l’ostacolo; il secondo motivo era che a Lucca, in quel periodo, Vito Tommaso stava emergendo nel pianoforte per cui la scelta del vibrafono è diventata obbligata per suonare insieme». Svolge quindi attività stabile col Quintetto poi Quartetto di Lucca. Oltre all’impegno con questo gruppo nel 1962 suona in quartetto con Enzo Randisi e poi con il trio di Amedeo Tommasi cui si aggiungono per l’occasione Chet Baker, René Thomas e Bobby Jaspar.
Impegno e qualità
Nel 1966 entra a far parte della Orchestra della Televisione della Rai di Roma come organista. Più o meno nello stesso periodo inizia un impegno intenso negli studi di registrazione dove, con Piero Umiliani, Gino Marinacci e i Marc 4 (con Carlo Pes, Maurizio Majorana, Roberto Podio), sono frequenti le incisioni di carattere jazzistico. Tra il 1967 e il 1968 partecipa all’esperienza della Swingin’ Dance Band di Marcello Rosa, col quale ha modo di collaborare anche negli anni seguenti. Nonostante un impegno jazzistico saltuario e svolto soprattutto come free-lance nella sua carriera suona con musicisti come Lee Konitz, Baker, Sonny Rollins, Toots Thielemans, Lionel Hampton, Kai Winding, Kenny Clarke, Art Farmer, Wild Bill Davison e altri. Alla fine degli anni Settanta partecipa anche all’avventura della Saxes Machine di Bruno Biriaco e del Brass Samba. Muore a Roma nel mese di febbraio del 2019.