Antonello Colonna è uno degli Chef italiani più amati e stimati nel panorama internazionale. Eclettico, anarchico, “unconventional”. Ambasciatore della cucina italiana nel mondo, lo Chef è stato insignito di numerosi premi e prestigiosi riconoscimenti. E’ proprietario del ristorante Open, a Roma e, nel 2012, ha inaugurato l’avveniristico resort di Vallefredda, a Labico (RM), che, per la qualità dei suoi spazi, ha destato l’interesse della stampa internazionale specializzata in architettura, design, viaggi oltre che di quella legata al mondo della gastronomia gourmet.
Mentre scriviamo l’intervista, apprendiamo che il resort di Vallefredda ha da poche ore conquistato una stella Michelin 2014: auguri Chef!
Incontriamo lo Chef Antonello Colonna nella splendida cornice del suo resort, dove ci accoglie con generosità e simpatia, offrendoci il racconto, vibrante e rocambolesco, di una storia non solo personale. Con lui evochiamo, infatti, gli scenari culturali, le attese mediatiche, il tessuto sociale e politico che hanno accompagnato una carriera lunga 30 anni, tutti vissuti in prima linea. Questa l’intervista di Daily Green.
Chef, Restaurateur, Imprenditore, Collezionista, Gallerista, Event Creator… Quale è la definizione che oggi sente più calzante?
Anarchico, Aristocratico… Forse una definizione per ciò che faccio deve essere ancora coniata e dopo tutto non è facile riconoscersi in un unico ruolo. Racconto sempre di avere tre vite: una pubblica, una privata, una “segreta”… E’ in quella segreta che si accendono le mie “visioni”, quelle che poi prendono forma in progetti e iniziative, attraverso cui gli altri mi attribuiscono un ruolo. Io “mi limito” a seguire le mie fantasie, è una cosa che faccio sin da quando ero bambino al punto da destare la preoccupazione dei miei genitori quando mi vedevano tanto assorto… Ero semplicemente incantato nell’osservare ciò che mi piaceva. Ed è un attitudine che, nella mia vita segreta, non ho mai perso.
In quale momento della sua vita professionale è nata l’idea o l’esigenza di mettere in piedi uno spazio come questo?
“Esigenza” è una parola strettamente legata alla mia “vita segreta”. Sogno, fantasia, esigenza sono gli elementi guida del mio percorso. Forse l’idea di questo resort nasce già 30 anni fa, dopo l’inaugurazione del mio primo ristorante nel centro storico di Labico, la “Porta rossa”, nel 1985. Quasi da subito ho sentito l’esigenza di allargare i 68 mq del ristorante per aggiungere altre funzioni ricettive. Se l’idea si fosse concretizzata in quel periodo questo resort oggi sarebbe un piccolo borgo storico. Nello stile dei tempi, avrei cercato di acquisire i locali confinanti al mio per successive addizioni, fino ad occupare tutte le sale storiche del paese. Ma da allora all’acquisto del primo ettaro di questo parco, nel 2001, sono successe tante cose: è cambiata la cultura enogastronomica, che si è arricchita di forti contenuti concettuali, politici, di valori etici; è cambiato il mio immaginario, mi sono avvicinato agli ambienti museali, al design funzionale e razionalista, fino a scoprire l’architettura post-indsutriale, il recupero degli spazi dismessi. Ho conosciuto l’architetto Aniello, autore della riconversione di alcuni locali dell’ex stazione Tuscolana in atelier, e, con lui, a partire dal 2009, è nato il progetto e poi la rapida realizzazione di questo resort, con cinque padiglioni, la cucina, la piscina all’aperto, la spa, l’orto-giardino e il parco naturale.
Avete usato accortezze “green”, dispositivi di risparmio energetico o soluzioni a impatto zero nella realizzazione del resort?
Io mi sono perlopiù avvalso della “mia religione” e dei valori radicali in cui credo. Non so se i miei valori sono “green”, ma so che si fondano su un profondo rispetto per l’umanità e per la natura. La riserva naturale che ci circonda era una discarica a cielo aperto che sono riuscito a bonificare, ottenendo che alcune specie, da tempo scomparse, tornassero a ripopolarla. Pretendo dai ragazzi del mio staff una rigorosa raccolta differenziata e così via. Non voglio negare l’importanza della bioarchitettura, della biodinamica, della bioecologia, elementi, tra l’altro, tutti presenti nelle mie strutture, ma per me essere “green” è soprattutto una condotta di vita.
Si parla molto di prodotti BIO, di qualità certificate etc. Nel mondo della ristorazione c’è una vera attenzione al tema o ritiene che la strada da percorrere sia ancora molto lunga?
Su questi temi c’è una grande confusione creata, soprattutto, da un sovraccarico informativo. Senza dubbio la sensibilità alla qualità e al biologico, nell’opinione comune, è molto aumentata. Ma credo che le persone siano disorientate, non sono messe in grado di fidarsi e di fare delle scelte veramente consapevoli se ad ogni angolo della strada c’è un’insegna “km 0”. Questo dipende soprattutto dal boom mediatico che le assedia. Nel mondo della ristorazione non cambia molto: la strada da percorrere è lunga soprattutto se si intende fare una vera distinzione tra retoriche, demagogie e vere consapevolezze.
Qualcuno l’ha definita “un anarchico ai fornelli”; noi siamo persuasi che lei sia dotato dell’arte di coniugare gli opposti. Così stupisce i suoi ospiti, a tavola e nei suoi spazi. Non nega la tradizione, ma la reinventa in chiave contemporanea, conservando il gusto genuino di sapori che vengono da lontano. Come vive Antonello Colonna il suo rapporto con il passato e con la storia?
La tradizione per me è un ingrediente e, della storia, ad ogni passo, non perdo mai traccia. Mi sento uno “storico” della cucina italiana, non ho mai ri-visto o re-interpretato un piatto della tradizione. L’ho, semmai, interpretato -che è ben diverso- avvalendomi della storia e della tradizione, siano esse contadine, pastorali o popolari.
A 40 km da qui c’è l’Open Colonna, il ristorante al top floor del Palazzo delle Esposizioni, nel cuore pulsante della city capitolina. Quale è il file rouge che collega l’Open di Roma al resort di Vallefredda?
L’Open è sopraggiunto nei mie progetti ma non è stato frutto dell’incessante lavoro di riflessione, di ricerca, di meditazione, che ha dato vita a questo resort. Senza dubbio c’è, nei due, il legame con l’arte e con l’esperienza museale (Il Resort di Vallefredda fa parte del circuito del Festival Internazionale di Fotografia di Roma e ospiterà fino al 2 dicembre l’esposizione di Jochem Schoneveld, Rome Lost and Found a cura di Marco Delogu, ndr). L’arte rappresenta per me un forte elemento di decontestualizzazione e di virata rispetto al tema gastronomico. In questo modo esco da una maniera autoreferenziale di lavorare e mi apro a nuove sinergie, favorendo interessanti contaminazioni.
Con l’apertura del resort, che rappresenta un po’ la mia dimora, mi sento un cittadino del mondo, libero, al tempo stesso, di scegliere il luogo in cui stare: ebbene, il mio posto è questo, come cita il mio slogan: “… Completamente fuori dal mondo, a due passi dal Colosseo”.
Per saperne di più sul mitico chef, potete consultare la sua pagina web: