Il 4 giugno 2004 muore a Rio De Janeiro l’italo-brasiliano Antonio de Teffé, in arte Anthony Steffen, un attore che occupa un posto di rilievo nella galleria dei ritratti dei protagonisti principali del western all’italiana.
Il miglior Django dopo Franco Nero
Caratteristi a parte è forse l’attore protagonista che ha attraversato senza mai scendere di sella o abbandonare la colt, l’intera epopea del western all’italiana. È stato Django, Ringo, Gringo, Arizona Joe, Gentleman Joe, Shango, Garringo e molti altri personaggi entrati nell’immaginario degli appassionati di questo genere. La sua interpretazione di Johnny in 7 dollari sul rosso è considerata una delle migliori della sua carriera in chiave western, insieme a Django il bastardo di cui scrive anche parte del soggetto e della sceneggiatura, 1.000 dollari sul nero, Un treno per Durango e Garringo. La sua caratteristica principale è quella di non essere mai sopra le righe. Duttile e in genere molto apprezzato dai registi per la capacità di capire al volo quello che si vuole da lui, non tende mai a sovrapporre la sua personalità a quella del personaggio che interpreta. Non è mancanza di personalità, ma conoscenza e amore per la “macchina” del cinema, oltre che rispetto per chi ci lavora. Non è un caso che la sua carriera inizi proprio dietro la macchina da presa come operatore e direttore di seconde unità di ripresa di film degli anni Cinquanta come Capitan fantasma, Ci troviamo in galleria o Cento anni d’amore.
Il primo a credere in lui è Citto Maselli
Antonio de Teffé, il futuro Anthony Steffen, nasce il 21 luglio 1930 a Roma, in Piazza Navona, nella sede dell’ambasciata brasiliana. Suo padre è l’ex campione di Formula 1 Manoel de Teffé von Hoonholtz, in quel periodo ambasciatore in Italia del Brasile. Fin dai primi anni di vita Antonio, che possiede sia la nazionalità italiana che quella brasiliana si dimostra un tipo sveglio e poco disposto a lasciarsi irreggimentare dalle regole delle rappresentanze diplomatiche. Dopo l’8 settembre 1943, a soli tredici anni, scappa di casa e, grazie al fatto che dimostra qualche anno in più, si unisce ai partigiani che combattono contro i nazisti. Dopo la Liberazione inizia a lavorare nell’ambiente cinematografico, prima come operatore, poi come assistente di regia e, infine, come attore. Come accade a Tomas Milian il primo a credere in lui è Citto Maselli che nel 1955 gli affida uno dei ruoli principali nel film Gli sbandati. Seguono poi pellicole di vari generi del cinema popolare dai feuilleton come La cieca di Sorrento ai peplum come Gli invincibili fratelli Maciste, ai primi musicarelli come I ragazzi del Juke Box. Negli anni Sessanta diventa uno dei protagonisti del boom del western all’italiana. Nella sua carriera ha interpretato più di sessanta film, per la maggior parte italiani. Colto e raffinato a partire dalla seconda metà degli anni Settanta si allontana progressivamente dal cinema. Alla fine degli anni Ottanta si trasferisce a Rio De Janeiro, città nella quale muore il 4 giugno 2004 dopo una lunga battaglia con un nemico implacabile come il cancro.