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Andrès Segovia, la chitarra nella musica classica

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Il 3 giugno 1987 un attacco cardiaco uccide a Madrid Andrès Segovia, considerato da una parte rilevante della critica il più grande chitarrista del Novecento. Stilare in questo campo delle classifiche non è mai facile, ma senza dubbio il suo apporto stilistico, teorico e in qualche caso i consigli tecnico-costruttivi, hanno contribuito in maniera decisiva a rivoluzionare l’utilizzo della chitarra cosiddetta “classica” come strumento solista da concerto.

Il più grande chitarrista classico del mondo

Andres Segovia nasce a Linares, in Andalusia, il 18 febbraio 1893. A partire dall’età di quattro anni si dedica alla musica studiando prima il violoncello e poi la chitarra. Proprio con quest’ultimo strumento fa la sua prima breve esibizione in pubblico nel 1909 a Granada. Ha sedici anni e qualche anno dopo tiene a Madrid il suo primo concerto nel quale interpreta alcune trascrizioni per chitarra di Francisco Tárrega insieme a vari brani di Johann Sebastian Bach che lui stesso ha provveduto a sviluppare e trascrivere per il suo strumento. Da quel momento e per tutta la sua carriera il suo lavoro è finalizzato a qualificare sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista strettamente musicale la chitarra classica, che ancora agli inizi del Novecento era sostanzialmente ignorato, quando non disprezzato perché “troppo popolare”. È lui che, lavorando gomito a gomito con un gruppo di liutai di fiducia, crea la chitarra classica”moderna”, utilizzando le corde in nylon in grado di produrre un timbro più consistente e un volume più alto di quelle precedentemente adottate. Dopo il primo concerto parigino del 1924 la sua popolarità inizia ad allargarsi in Europa e poi nel mondo. Nel 1928 una famosissima tournée statunitense lo consacra come il “più grande chitarrista classico” del mondo e davanti alla sua porta si allunga la fila di musicisti che disposti a scrivere brani per il suo repertorio. Per lui scrivono compositori come gli spagnoli Joaquin Turina, Joaquin Rodrigo e Manuel de Falla, il brasiliano Heitor Villa-Lobos, l’italiano Mario Castelnuovo-Tedesco e il messicano Manuel M. Ponce destinati a diventare il primo e più popolare nucleo di quella generazione di autori cui ancora oggi viene dato il nome di “Compositori segoviani”.

Lo studio? Fondamentale per eccellere

Proverbiale resta la sua indicazione della “cultura dello studio” come base fondamentale per poter eccellere. Una testimonianza esemplare in questo senso arriva dall’aneddoto che circola da decenni in cui si racconta che alla domanda «Scusi, ma perché lei si esercita otto ore al giorno?» egli, già celebrato e famoso, abbia risposto «…perché, se non lo faccio, il primo giorno me ne accorgo io, il secondo se ne accorgono i critici e il terzo se ne accorge anche lei». Per lui, però, lo studio è solo la base da cui partire, non il mezzo attraverso il quale arrivare ai risultati. Oltre allo studio c’è quell’insieme di disciplina interiore, curiosità e genialità che fa di un bravo strumentista un grande e, in qualche caso, un grandissimo concertista. In questo senso si può dire che il suo insegnamento, e le conseguenze rivoluzionarie che esso ha avuto sulla tecnica chitarristica moderna non derivano da alcuna scuola. Oggi in molti ritengono che nella storia della chitarra l’apporto di Segovia sia paragonabile a quello di Paganini nella storia del violino. Oltre alle indiscutibili qualità tecniche gli va riconosciuto il grande merito di avere ridato nuova vita a un’infinita lista di partiture antiche come la famosa trascrizione per chitarra della Ciaccona per violino solo di Bach, l’adattamento di musiche dei liutisti rinascimentali, la rivalutazione di autori classici della chitarra come Giuliani e Sor, il recupero di quelli legati alla tradizione ottocentesca o impressionista e le trascrizioni di brani pianistici dei suoi conterranei Albeniz e Granados.

https://www.youtube.com/watch?v=czG58FxhhX0

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".