Andrea Pirlo, non è solo un campione, ma anche un enocultore Doc. Lo abbiamo incontrato ed ecco quel che ci ha raccontato.
“Nel calcio si usano spesso metafore ardite per definire alcune tipologie di giocatori: il ‘mastino’ è un marcatore implacabile, il ‘bomber’ un attaccante spietato, il ‘manovale’ è un centrocampista di quantità mentre il ‘geometra’ è il regista, colui che disegna le trame del gioco, quello da cui parte l’azione. Andrea Pirlo, seguendo lo schema, apparterrebbe a quest’ultima categoria ma, con tutto il rispetto dovuto ai geometri, sarebbe riduttivo chiamarlo così. Se proprio si volesse rimanere in tema, lo si potrebbe definire l’’architetto’ o, meglio ancora, l’’ingegnere’. Perché Andrea Pirlo da Brescia è sì un costruttore di gioco, ma di livello assoluto”. Queste le parole con le quali il sito ufficiale della Juventus sintetizza il talento del grande calciatore, impresa non facile. Centrocampista della Juventus e della Nazionale Italiana con la maglia numero 21, il grande regista Andrea Pirlo è stato campione del mondo a Berlino nel 2006 e vice-campione d’Europa nel 2012. Andrea Pirlo debutta in Serie A il 21 maggio del 1995 a soli 16 anni, nella partita Reggiana-Brescia (2-0): da allora oltre 60 i gol realizzati e altri 11 segnati con la Nazionale. Per dieci anni indossa la maglia del Milan, nel 2011 approda alla Juventus. Pirlo è un calciatore di prima categoria, un fuoriclasse invidiatoci da tutto il mondo. Campione sul campo di calcio e nella vita. E non tutti forse ancora sanno che Andrea Pirlo è anche un “campione di brindisi”, brindisi rigorosamente “green”!
A Flero, nella piccola frazione di Coler, si trova l’azienda agricola Pratum Coller della famiglia del grande
giocatore bianconero. Un piccolo angolo di terra nella Bassa bresciana, a pochi chilometri dalla città ma circondata dal verde. Il suo nome deriva dal latino “colere”, coltivare. Ed è proprio qui che la famiglia Pirlo nel 2007 ha iniziato una nuova partita ancora tutta da giocare. In campo la biodiversità e la salvaguardia degli originari equilibri naturali. Cartellino rosso per ogni fase produttiva che non rispetti l’ecosistema dell’ambiente in cui crescono e maturano le viti. I vigneti dell’azienda vantano oltre trent’anni di età e rispecchiano le tipicità del territorio: Marzemino, Merlot, Barbera e Sangiovese con presenza di Pinot nero, Syrah, Petit Verdot e Cabernet Sauvignon. La varietà bianca è Trebbiano di Lugana. Pratum Coller produce attualmente quattro tipologie di vini: il rosato Eōs, il bianco Nǐtǒr e i rossi Rěděo e Arduo.
L’originale casa padronale, ora sede dell’azienda vitivinicola, confinava con la casa natale di tuo padre, acquistata da tuo nonno già nel 1919. Tuo padre, Luigi, ha rilevato l’azienda nel 2007. Dalla siderurgia alle colture biologiche. La famiglia Pirlo ha sempre avuto questo profondo attaccamento alla terra? E’ un ritorno alle origini, Andrea?
Per la precisione è stato il bisnonno Francesco ad acquistare la casa Natale di mio padre. Nel 2007 io e la mia famiglia abbiamo rilevato l’antica cascina vicina con l’obiettivo di ristrutturarla e riportarla alla sua bellezza storica. La siderurgia ormai da trent’anni è il nostro business principale però l’attenzione alla campagna, al paesaggio e al giardino è sempre stata la nostra passione e ci ha portato a condividere da subito il nostro progetto sostenibile con un indirizzo solo di coltura biologica. Le radici del nostro attaccamento alla terra sono molto antiche. Quando sono su un campo di calcio in mezzo a questa striscia verde mi trovo a mio agio, mi dà una tranquillità interiore, mi piace l’erba ed è meraviglioso giocarci sopra. Tutte le volte mi dà delle soddisfazioni e mi ricorda le origini quando da bambino con mio fratello, i miei cugini, gli amici, giocavamo ore e ore su quei prati.
Sono i luoghi della tua infanzia. Qual è il tuo rapporto con l’ambiente, la natura?
Noi abitavamo nel paese di Flero e spesso si andava in cascina a trovare le nonne, e un po’ si giocava un po’ si passeggiava. E molte volte ci si trovava in mezzo alla natura in aperta campagna. Il legame con essa è sempre stato grande.
Fin dall’inizio avete fatto una scelta in controtendenza: produrre vino in modo sostenibile. A distanza di cinque anni è possibile fare un bilancio? La biodiversità è un valore?
Il grande rispetto per gli equilibri che ci sono in tutti gli elementi vitali dove solo la bellezza potrebbe avere il sopravvento e dove il lavoro, lo scandire giusto dei ritmi e del tempo riesce a portare alla ricerca di risultati sconosciuti e insperati. In questi cinque anni abbiamo controllato, abbiamo aspettato i sapori ed i profumi con la giusta pazienza, certi di aver fatto il nostro lavoro nella maniera più giusta e per questo fiduciosi di risultati soddisfacenti. Non esiste solo la vigna. C’è il paesaggio fatto di bosco, di filari di piante, di acque sorgive che passano chiare nei ruscelli, di siepi e di tantissimi animali. La biodiversità ne aumenta il valore e dà la piena capacità alla terra di rigenerarsi e mantenere il proprio equilibrio.
Produrre in modo sostenibile vuol dire garantire la continuità del processo, limitare l’impatto ambientale mantenendo inalterato il territorio. Andrea, tu sei padre di due figli. Come vedi il loro futuro?
Produrre in modo sostenibile vuole dire rispetto, vuole dire pensare alle prossime generazioni, significa garantire un futuro ai nostri figli e tutelare i patrimoni del nostro paesaggio e del nostro territorio.
Andrea, sei un campione che ci invidia tutto il mondo. E ora possiamo dirlo, anche campione di ‘brindisi’. Qual è tra quelli che produci il tuo vino preferito?
Il vino è un prodotto molto esaltante che però va sempre preso con moderazione. Mi piacciono un po’ tutti, dipende poi dall’abbinamento dei cibi.
Questa tua nuova avventura è sintetizzata nel motto “Non nisi per ardua” che dà anche il nome ad uno dei tuoi vini, l’Arduo. Qual è l’origine di questa frase?
Questo motto sintetizza la ricerca a mettersi in discussione quando le cose diventano difficili per non dire ”ardite”. E’ un invito a trovare le forze interiori per raggiungere quella meta quasi impossibile e per questo più intrigante. E’ la consapevolezza che solo con grande forza d’animo e grande concentrazione si arriverà al successo dell’impresa.
Dopo dieci anni di Milan, la Juventus. Come hai vissuto questo cambiamento?
Le stagioni passano per cui anche la casacca di una squadra può cambiare, ciò che non deve cambiare è la voglia di essere sempre protagonisti e di mettersi in discussione per raggiungere i propri obiettivi, sapendo, come sempre, che dedicheremo il massimo di noi stessi.