“I record si accumulano in regular season, la storia si fa nei play-off [ma] la vera storia si fa nelle finali NBA”. Flavio Tranquillo, il popolare telecronista di Sky Sport, non poteva trovare sintesi migliore per presentare l’ultimo atto della stagione NBA 2011-2012 ossia lo scontro finale tra gli Oklahoma Thunder e i Miami Heat per la conquista dell’anello. E le Finals 2012 sono anche lo sfondo su cui si muove il libro di Simone Mazzola American dream (Rupe Mutevole, 2014), un “infiltrato”, come si definisce lui stesso, presente all’atto conclusivo della stagione del basket professionistico americano.
Simone Mazzola, un italiano alle Finals NBA
L’addicted
Il nostro protagonista (così come chi scrive) è un “addicted” della palla a spicchi, fa parte di quella tipologia particolare di personaggi “malati” come quelli ben evidenziati, in campo calcistico, da Nick Hornby in Febbre a °90; soggetti che pensano che la vita si divida in stagioni e non in anni e che l’estate sia solamente un noioso periodo di pausa tra la fine di una season e l’inizio di un’altra. Come scrive nella prefazione un altro noto giornalista sportivo, Alessandro Mamoli, per i “dipendenti” da pallacanestro “James Naismith non era un semplice professore di ginnastica, ma un Dio sceso sulla terra nel lontano 1891 col compito di tramandare una religione capace oggi di raccogliere migliaia di fedeli in ogni angolo del mondo”. Ma definire il nostro protagonista un “infiltrato” è decisamente riduttivo. Perché “l’imbucato” è una persona che cerca solo di scroccare la presenza a un evento altrui senza esserne invitato mentre “l’addicted” Mazzola coltiva sin da piccolo il sogno di assistere alle Finals NBA. E così non si limita a guardare gli eventi cestistici in sé ma medita di scriverci sopra, inizia a crearsi una propria visione della pallacanestro statunitense. E per fare questo pensa di fondare e di allestire un sito internet completamente dedicato alla palla a spicchi. E la “malattia” si approfondisce ancor di più quando inizia ad accarezzare l’idea di poter esser presente di persona alle partite clou della season. Così lo vediamo accingersi, mano tremante e cuore in gola, a presentare la domanda per ricevere l’accredito stampa alle Finals NBA 2012; avendo visto respinta la stessa richiesta l’anno precedente, lo vediamo speranzoso e impaziente nell’attesa di ricevere la tanto agognata e-mail di conferma. Che, questa volta, arriva. E un po’ come il topolino Fievel, anche Simone Mazzola prepara i suoi bagagli e si accinge a sbarcare in America alla ricerca del suo “American Dream”. E qui compare per la prima volta il suo “Virgilio”, al secolo Chiara Zanini, che l’accompagnerà per tutto il suo viaggio in terra statunitense. Chiara ha sulle spalle ben tredici Finals consecutive, è una veterana del basket NBA e sarà un punto di riferimento importante del nostro autore.
Continuando a scorrere le pagine del libro, “l’addicted” Mazzola ci porta direttamente dietro le quinte del grande spettacolo dell’NBA: nelle sale delle conferenze stampa, nelle locker room e nei corridoi del Cheasepeake Energy Arena e dell’American Airlines Arena dove ammiriamo le gesta dei vari LeBron James, Chris Bosh e Dwayne Wade così come quelle di Kevin Durant, Russell Westbrook e James Harden. E non meno importanti, osserviamo in presa diretta le “gesta” di autentiche stelle del firmamento giornalistico come gli americani Marc Spears, John Hollinger e J.A Adande e gli europei Armel Lebescon, Andrè Voigt e Massimo Oriani de La Gazzetta dello Sport. Ma quello che colpisce molto il nostro protagonista è il tono informale dei rapporti con questi mostri sacri del giornalismo della pallacanestro NBA, l’immediatezza nell’entrarci in contatto e, in the end, il loro non tirarsela. E così tutto è pronto per andare a seguire Gara 1 tra gli Oklahoma Thunder e i Miami Heat. Ovviamente, almeno tre ore prima della palla a due perché, si sa, un “addicted” è fatto così.
L’observer
Sbarcato in America, il nostro protagonista comincia a perdere, a poco a poco, l’aspetto di “addicted” per assumere quello di “observer”. Già perché, sfogliando le pagine del libro, Mazzola accompagna il lettore alla comprensione di alcuni spaccati importanti della cultura sportiva USA come un certo modo di intendere il professionismo sportivo, la cura della propria immagine pubblica e il concepire il basket come un vero e proprio entertainment. Così come della cura maniacale di tutti gli aspetti dell’organizzazione di un evento così importante nel palinsesto sportivo americano, a partire dalla minuziosa raccolta di ogni informazione, dato o dichiarazione emersa durante le partite delle Finals: “Spiegare quanto queste dispense raccontino in modo capillare e dettagliato tutte le cose da sapere di una partita di basket, è davvero difficile. Fate conto che, al ritorno, la mia valigia pesava ben quattro chili in più rispetto all’andata […] La bellezza di lavorare in un’organizzazione come quella dell’NBA, è la fruibilità di qualsiasi contenuto o suono esca dalla bocca dei protagonisti”. Mazzola ci descrive anche un altro aspetto della cultura americana: il senso dell’emulazione. Non conta se stai parlando di giocatori, di allenatori o di giornalisti. La cosa più importante è ispirarsi ai migliori per cercare di crescere professionalmente: “Così, cerco di carpire ogni movimento e ogni parola di chi mi sta intorno, perché alla fine per rubare il lavoro, devi imparare dai più bravi”. Chissà se lo stesso vale anche nel Bel Paese…
https://www.youtube.com/watch?v=kiBYnHiS_xU
E dai migliori si impara anche un’altra cosa: andare ai rinfreschi per gli addetti ai lavori dopo la partita. Perché c’è uno spettacolo nello spettacolo nel mondo dell’NBA che non termina con la sirena di fine incontro ma continua anche successivamente. In breve, the show must go on. Gli Oklahoma Thunder sono la squadra della capitale dell’omonimo Stato e giocano nella Western Conference, Northwest Division. I Miami Heat sono la franchigia della famosa città della Florida e militano nella Eastern Conference, Southeast Division. Tra i due centri cittadini ci sono circa 1500 miglia e il nostro osservatore non può fare a meno di annotare nel suo personalissimo cartellino la diversità non solo tra le due città ma anche nel calore del tifo. Se a Oklahoma City Mazzola è colpito da una vera e propria “Thunder madness” che sfocia addirittura nella creazione di una collezione di abiti interamente dedicata a ogni singolo giocatore del rooster dei Thunder, a Miami la situazione è differente perché “la madness presente a Oklahoma City, in questa città, non si avverte proprio. Sembra che la vita di tutti scivoli via come se in città non ci fosse alcun evento particolare […] del resto, a Miami, le Finals NBA sono veramente uno dei migliaia eventi presenti nell’estate della Florida”. E qui Mazzola ci illustra anche una breve ma coincisa cartolina di Miami: “Probabilmente dovrei ridefinire la sentenza ‘the city never sleeps’, visto quello che succede qui, perché anche a Miami il mondo sembra non fermarsi mai”.
Al termine delle Finals NBA 2012, i Miami Heat si impongono per 4-1 sugli Oklahoma Thunder ma il risultato poco conta. Quello che impressiona ancora una volta il nostro osservatore è come reagiscono gli statunitensi a un post partita: “Questa è la cosa che invidio più sinceramente agli americani. Hanno una cultura sportiva fatta di divertimento, tifo sincero e accettazione del verdetto del campo davvero incredibili”. E chissà se questa mentalità sportiva e questa cultura del tifo non riesca a essere sanamente contagiosa, così come le impressioni e le sensazioni descritte nel libro dal nostro protagonista. Ai posteri l’ardua sentenza. Ma intanto godetevi l’American dream NBA di Simone Mazzola.