Il 12 novembre 1976, in una festa che si svolge al Bronx River Community Center, un giovane dj del liceo Stevenson, Kevin Donovan diventa il leader della gang degli Zulu del Bronx con il nome di Afrika Bambaataa.
Il rap esce dai ghetti
In quel giorno di novembre inizia la lunga storia musicale di un artista che con il suo lavoro ha elevato lo standard di qualità del rap portandolo fuori dai ghetti. Bambaataa è il primo a capire le potenzialità espressive dell’hip hop e lo fa senza tradire lo spirito originario ma adattandolo a un gusto più sofisticato e intellettuale. Quando decide di incidere dischi in proprio, si rivela anche un sopraffino musicista.
Un collage vertiginoso
Afrika Bambaataa eleva lo standard di qualità dei rap in commercio con i suoi iperdinamici EP, archetipi della dancefloor music a partire da Planet Rock del 1982, un collage vertiginoso di scratch, effetti elettronici, ritmi epilettici e vocalismi manipolati, che grazie anche ai missaggi di Jellybean Benitez dà lustro alla cosiddetta “beatbox”. I critici più aperti verso questo genere di musica hanno scritto che «I suoi dischi sono anche i primi a concepire la prassi del rap per quello che è, una forma di “collage aurale”, e a spingere il concetto al limite tecnologico dei mezzi computerizzati».