Home C'era una volta Una Meg inaspettata e dolce

Una Meg inaspettata e dolce

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Il 22 ottobre 2004 Meg presenta il suo primo disco da solista dopo tanti anni con i 99 Posse e la successiva esperienza nei Nous in coppia con l’altro ex 99 Marco Messina.

Un album curatissimo

Si tratta di un lavoro inaspettato per chi si è abituato a vederla sulla scena con Zulù e compagni. Delicato, musicalmente curato fin nei minimi dettagli, in qualche passaggio deliziosamente retrò, Meg è un album pop dove le alchimie elettroniche fanno l’amore con gli strumenti veri, fiati e archi compresi. Lei sostiene che al fascino sottile dei suoi brani non sia estranea una questione di genere: «C’è una grande differenza tra la sensibilità maschile e quella femminile. Io ho cantato al femminile». Ci vuole coraggio, però, a imbarcarsi su rotte nuove visto che avresti potuto continuare a navigare nello stesso mare in cui avevi veleggiato con i 99 Posse… «Nel momento in cui il gruppo ha incominciato a starci stretto e abbiamo deciso che era tempo di prenderci una boccata d’aria, ciascuno di noi ha finito per radicalizzare le proprie ispirazioni artistiche e stilistiche…» E le tue quali sono? «Quelle che ritrovi nel disco. Una cultura ricca, non prigioniera di un genere specifico, una sorta di liquido amniotico in cui convivono felicemente la tradizione classica napoletana, il pop dei Beatles, il jazz e la musica classica…»

Un esorcismo alla paura

C’è poi il Brasile, visto che nell’album l’unico pezzo che non porta la sua firma è Senza paura, un brano di molti anni fa scritto da Toquinho, Vinicius De Moraes e Sergio Bardotti. Caldo, molto luminoso, insieme a Simbiosi sembra un po’ la chiave di lettura dell’intero disco, uno squarcio di ottimismo, un invito a non credere alle cose come sono e a non avere paura. «È un solare esorcismo alla paura, una canzone che ha illuminato la mia infanzia. Per questo ho voluto cantarla e ho chiesto a mio padre di suonarci». Tu sei ottimista? «Come tutti alterno momenti di pessimismo nero a squarci di speranza e ottimismo. Tutto sommato mi considero positiva, anche se di questi tempi è sempre più difficile. Ciò che di peggio si poteva immaginare è diventato realtà: guerra, falsificazione, desolazione, sopraffazione e, in più, la caduta del significato delle parole. Opporsi è possibile solo se si sfugge a queste logiche». In Simbiosi sembri quasi rivalutare il sogno da contrapporre alla realtà. Non è una fuga? «No, tutt’altro. Io credo che la speranza del mondo sia proprio affidata a quella rete delicatissima, eppur fittissima, di persone che riescono ancora a sognare spostando più in là l’orizzonte. È quello che mi piace chiamare “esercito mondiale dei sognatori” e che raggruppa tutti quelli che non hanno smesso di sognare, progettare e lottare per un mondo diverso».

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".