Scrittore, poeta, autore del documentario Homo Radix. Appunti per un film documentario, Tiziano Fratus, classe 1975, ha dedicato la maggior parte del suo lavoro agli alberi monumentali.
Antiche creature che lui stesso definisce “caleidoscopi della natura”. Protagonista assoluto dei suoi libri e dei suoi versi, l’albero rappresenta per Tiziano Fratus, il legame tra l’uomo e il pianeta che lo ospita. Si definisce “Uomo radice”, un “uomo che si fa sempre più albero in un paesaggio di alberi che si fanno sempre più uomini”.
Tiziano Fratus sei conosciuto come un “cercatore di alberi”. Ma chi è un “cercatore di alberi”?
Quando mi sono messo a lavorare a quello che sarebbe diventato il primo libro di un nuovo percorso, “Homo Radix. Appunti per un cercatore di alberi”, mi sono divertito a inventare alcune definizioni: “Uomo Radice”, che è frutto della mia esperienza, al fondo il concetto basilare di buona parte di ciò che ho fatto e che faccio in questi anni, “alberografia” e “cercatore di alberi”. Fra i tre, l’unico concetto/espressione già in circolazione da tempo, è “cercatore di alberi”, usato genericamente per indicare persone che per lavoro o per curiosità andavano, nei secoli passati, a cercare specie rare. Ma non è mai stato un concetto trattato, codificato, si trattava più di una locuzione comune, generica. Con varie sfumature, anche poco piacevoli. Ancora oggi presentarsi come un “cercatore di alberi” può suscitare in molte persone un’immagine tutt’altro che invitante, come dire un “fannullone”: “Fai il cercatore di alberi? Allora non fai niente”. Nell’ambito del mio percorso personale che mi ha riportato a ricominciare la mia esistenza cercando di creare connessioni nel paesaggio coi grandi alberi, di modo da sentirmi a casa mia ovunque fossi, in qualsiasi terra, in qualsiasi continente, lo strumento per rafforzare l’identità – per mettere radice – è l’alberografia, ovvero una mappatura dei paesaggi, una ricerca di grandi alberi condotta nei modi più semplici ed essenziali. Chi è che conduce un’alberografia? Un cercatore di alberi.
Come nasce questa tua passione? Che tipo di studi hai fatto?
La mia passione nasce durante i viaggi fatti a Singapore e negli Stati Uniti. Al tempo scrivevo libri di poesia, alcuni di questi sono stati tradotti e pubblicati in inglese. Durante i viaggi e le tournée di presentazione mi sono ritrovato in alcuni luoghi che hanno toccato la mia sensibilità, hanno acceso negli occhi una curiosità, una scintilla che prima non c’era. Ad esempio a Singapore ci si imbatte in grandi alberi che decorano i viali e le strade e proteggono i passanti durante gli acquazzoni, alberi dalle grandi chiome che vengono chiamati volgarmente Rain Trees, alberi della pioggia. Poi ho attraversato quella meraviglia che sono i giardini botanici di Singapore, con alberi straordinari. Negli Stati Uniti ho visitato molte grandi città, da New York a Chicago, da Detroit a Los Angeles a Las Vegas, però la mia ricerca si spostava sempre verso i parchi. A New York mi sono ad esempio imbattuto in una guida che ha creato in me un effetto detonante, se posso dire: New York City Trees. Ha dato una svolta al mio viaggio e mi ha portato a visitare luoghi che in genere si visitano se resta del tempo, a margine dei monumenti, dei ponti e dei musei. Gli alberi sono un modo straordinario per decifrare la storia che sopravvive ed è depositata intorno a noi. Questo è un aspetto molto vivo anche nel resto del paese, e ancor di più in California dove incontrai i miei primi grandi Ficus macrophylla, interminabili filari di eucalitti, gli affascinanti cipressi di Monterey che occupano l’area costiera del nord della California, le gigantesche sequoie. Il tutto collocato in uno scenario dal fascino incredibile. Non pensavo che la California fosse così bella. Non è soltanto Sunset Boulevard e spiagge.
Una passione che non hai più abbandonato.
Infatti. Tornato in Italia mi sono messo a cercare grandi alberi e quel che continuo a trovare, ogni giorno, è assolutamente straordinario. Nonostante la bulimia per il cemento che questo paese ha vissuto negli ultimi decenni, il paesaggio ospita ancora migliaia e migliaia di grandi alberi. Ovviamente non grandi come le sequoie dei parchi californiani ma comunque molto belli e affascinanti. Le stesse sequoie sono presenti in Italia, le sto studiando, ne abbiamo molte secolari, sto conducendo un progetto che le sta mappando sull’intero territorio. Lo stesso sto facendo coi Ficus macrophylla, che sono alberi di origine australiana e che si trovano ben diffusi in certe città italiane: sono i grandi alberi che svettano in ogni spazio verde di Palermo, dall’Orto Botanico a Piazza Marina a Villa Trabia, sono gli alberi della passeggiata lungomare di Reggio Calabria, sono gli alberi di Sanremo e Bordighera. Arrivando a questo mondo dalla scrittura e dall’editoria i miei studi sono stati personali e non accademici, ma ho avuto la fortuna di poter collaborare con diversi botanici che mi hanno e mi stanno insegnando molto. Ad esempio Rosa Camoletto del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, con la quale abbiamo realizzato una mostra fotografica e botanica per l’anno internazionale delle foreste, Mauro Giorgio Mariotti che è direttore dell’orto botanico di Genova e dei famosi Giardini Hanbury di Ventimiglia (insieme abbiamo scritto un libro dedicato agli Hanbury), Francesco M. Raimondo, direttore dell’orto botanico di Palermo e presidente della Società Botanica Italiana.
Tiziano tu promuovi incontri, escursioni, passeggiate alla ricerca di alberi monumentali. Che tipo di persone si interessano al progetto, cioè chi sono gli altri cercatori di alberi? Esperti, amanti della natura o semplicemente dei curiosi?
Esistono diverse declinazioni di cercatore di alberi: il professionista, ovvero chi lavora in ambito naturalistico (il botanico che studia la biodiversità e arborizza, l’amministratore che deve valorizzare un territorio o un sito, il fotografo che deve fare un servizio su una valle, un parco, un giardino storico, uno studioso e così via), l’appassionato (colui che ama la natura e tutte le volte che può ci si butta dentro), il visitatore della domenica (da solo o in famiglia, colui che la domenica non sa cosa fare e sceglie fra le diverse alternative di fare una passeggiata alla ricerca dei grandi alberi). Una scansione sociale molto ampia. I libri che scrivo, che chiamo “taccuini per cercatori di alberi”, sono rivolti a tutti, davvero a tutti, e cerco di miscelare informazioni suggestive, citazioni letterarie, osservazioni personali e notazioni di carattere botanico e scientifico.
Come si svolgono esattamente queste passeggiate? Quali sono le curiosità più frequenti durante questi incontri?
Le passeggiate per cercatori di alberi secolari si svolgono nel modo più semplice possibile: ci si dà appuntamento all’ingresso e si attraversa un luogo per una, due talvolta anche più ore. L’attenzione è focalizzata sulle diversità botaniche e sulle caratteristiche dei grandi alberi. Quindi li si tocca, li si fotografa, li si misura, si impara a distinguere un acero da un platano da un ippocastano, talvolta, si racconta la storia di quella particolare specie, quando è arrivata in Italia e/o in Europa. Le curiosità. Alcune volte le persone sono sorprese che in Italia esistano certe specie, le sequoie ne sono un esempio. Ma dipende, dipende da molti fattori, spesso dalle curiosità dei partecipanti.
Mi ha colpito molto la tua frase: “Sono un uomo che si fa sempre più albero in un paesaggio di alberi che si fanno sempre più uomini” (“Homo Radix. Appunti per un film documentario”, un viaggio insieme a Tiziano Fratus tra le più antiche sequoie d’Italia, regia di Manuele Cecconello, ndr). Scrittore e poeta, hai dedicato la maggior parte del tuo lavoro a queste fantastiche creature, che cos’è un albero per Tiziano Fratus?
Per me un albero è un mondo. E’ un legame con il pianeta che ci ospita. E’ un caleidoscopio di emozioni. E tante altre cose che con le parole non saprei esprimere.
E’ possibile stabilire l’età esatta di un albero? Quali sono gli elementi utili per definirla?
I grandi alberi del pianeta sono per la maggior parte senza età. La si stima e talvolta le valutazioni sono così ampie da imbarazzare. Ad esempio il castagno dei cento cavalli che si trova nel piccolo comune di Sant’Alfio, sull’Etna, costituito da tre alberi di diversa dimensione ed età, da qualcuno è stato stimato in 4000 anni, da professori universitari fra i 2000 ed i 3000 anni. Plinio Il Vecchio dice che il castagno è una specie importata dai greci intorno al sesto secolo a. C., che significa che in verità potrebbe avere 2500 anni, quantomeno il più vecchio dei tre. A scuola ci viene insegnato che basta contare i cerchi di crescita ma è vero soltanto per giovani esemplari. Gli alberi annosi, plurisecolari, millenari, presentano molte carie interne. Inoltre si evita oramai di fare prelievi poiché i carotaggi sono autostrade d’ingresso per funghi e parassiti. Ogni tanto si adotta la tecnica del carbonio 14 per la datazione ma essendo esseri viventi le età che ne risultano non sono affatto credibili. Quindi al momento la tecnica è la stima, facendo confronti con esemplari di cui abbiamo documentazione o una stima più certa. Negli ultimi anni è emersa una nuova tecnica, una sorta di sonar che va a ricostruire la struttura interna dei tronchi, ma è ancora poco utilizzata e poi non sempre è d’aiuto.
Sappiamo che hai compiuto una mappatura degli alberi secolari nel nostro paese e all’estero. Perché l’esigenza di una mappatura?
La mappatura serve per valorizzare i territori e i luoghi. Serve per svecchiare vecchie misurazioni condotte dal corpo forestale dello stato negli anni Ottanta, ai tempi della prima campagna nazionale sui grandi alberi, quando sono stati redatti per la prima volta gli elenchi degli alberi monumentali regione per regione. Ma serve anche per scandagliare parchi e proprietà private che non sono mai state studiate da questo punto di vista. I motivi delle mie alberografie sono diversi. Credo personalmente che il paesaggio sia la carta per il futuro di questo paese, l’unica vera risorsa che l’Italia ha per cambiare il presente e migliorare il futuro di uno stato che non potrà competere nei settori industriali e minerali, anche se la classe politica che oggi ci governa non lo comprende. Credo che ci voglia una nuova generazione di politici, innanzitutto semplicemente giovani, per cambiare le cose. Altre strade non le vedo. Il mio lavoro è senza fine, per fortuna. Ogni parco storico, ogni villa, ogni valle, ogni monte ha i suoi grandi alberi che vanno conosciuti, catalogati, misurati, fotografati e schedati. Presentati e inseriti in percorsi naturalistici. Sono d’altro canto parte della nostra più intima identità.
Qual è la situazione attuale degli alberi monumentali in Italia? Come si comportano le amministrazioni locali?
Storicamente i custodi in Italia di questi grandi alberi sono il corpo forestale e i botanici degli orti e i giardinieri dei grandi parchi. La sensibilità delle amministrazioni locali, Regioni soprattutto, è fondamentale ma discontinua, davvero un terno all’otto. La svendita del patrimonio demaniale che si sta attivando potrebbe essere un’occasione per privati che tutelino meglio anche gli arboreti delle diverse realtà oppure il battesimo di un ennesimo sciacallaggio delle riserve naturali. Al momento le probabilità sono pari. Credo che gli alberi monumentali, o meglio i grandi alberi essendo un patrimonio condiviso debbano essere tutelati dai cittadini, nel complesso, non da una categoria o da un’altra. Ovviamente questa mia visione si scontra con la parcellizzazione della società italiana, siamo d’altro canto il paese più individualista d’Europa, dove qualsiasi organizzazione litiga su tutto. La nostra incapacità di coordinamento è palese ed è uno dei frutti più velenosi che quotidianamente ingurgitiamo. Ciò favorisce la libera azione dei privati che però spesso si chiudono nelle proprie mura (molti alberi potenzialmente monumentali che ho incontrato in questi anni e che non erano affatto riconosciuti, si trovano proprio dentro i parchi e i giardini di abitazioni private) e che oggi si trovano coinvolti dalle difficoltà economiche. Sono molte le famiglie che hanno ereditato castelli, palazzi, complessi architettonici di valore storico e artistico che non possono più basarsi sui patrimonio corrosi, tantomeno sul finanziamento statale che si appresta a sfiorare lo zero assoluto. Bisogna reinventarsi e allora si aprono le porte. E’ un’occasione storica quella che abbiamo di fronte, spero che le generazioni più giovani la sappiano prendere al volo, sempre che possano agire. Oggi per agire in Italia bisogna avere almeno cinquant’anni e questo è un dramma. Ci stiamo affidando come paese nelle mani di uomini appagati e arrivati, anche un po’ stanchi, mentre le forze fresche, le idee nuove attendono in seconda fila. D’altro canto siamo passati da Prodi a Berlusconi a Monti, tutti anziani pensionabili. Gli altri paesi hanno avuto Clinton, Obama, Zapatero, Sarkozy…
Hai trovato degli aiuti, dei sostegni da parte degli enti locali, associazioni, onlus?
Essendo un battitore libero non è facile ottenere sostegni, anche se diverse amministrazioni si sono rese disponibili a collaborare e interessate al mio percorso, al servizio che il mio lavoro può assicurare alle comunità locali. Talvolta ho collaborato con parchi, altre volte con le università che gestiscono aree protette e orti botanici, altre volte con associazioni, onlus, cooperative, case editrici e molte altre realtà. In Italia abbiamo molte persone che prestano tempo e tanta passione nella cura delle proprie radici.
Dove vivi Tiziano, in città o in campagna?
Vivo nel paesaggio. Fisicamente ho casa in val Sangone, una piccola valle fra la pianura torinese e la Val Susa, qui ho un orto e un giardino. Ma essendo un trapiantato – sono nato a Bergamo, sono cresciuto nella bassa bergamasca e nel Monferrato, fra Lombardia e Piemonte, ho vissuto per brevi periodi a Venezia, a Milano, a Pescara, a Torino – non mi sento mai a casa mia. Questa franabilità, questa cedevolezza della mia identità hanno spinto, credo, alla creazione di un concetto come l’Uomo Radice. Quindi vivo nella provincia piemontese ma potrei spostarmi in Maremma, nella pianura lombarda, in un piccolo paese dell’entroterra ligure o in Emilia. Vivo appunto nel paesaggio.
Ci sono delle cose che fai nel tuo quotidiano per aiutare la natura?
La natura non ha particolare bisogno di noi, del nostro aiuto, ce la fa benissimo da sola. Anzi, siamo noi umani che abbiamo bisogno di ricordarci che non siamo creati da un Dio che ci ha preso e posati dentro un bel giardino ordinato, magari con vialetti di bosso e colonie di tassi decorati, ma che siamo parte integrante del disegno, dell’architettura che Madre Natura ha realizzato.
Nel tuo documentario Homo Radix tu dici: “… sono un uomo radice che tollera a fatica l’inquinamento urbano, la sua confusione, la corsa degli uomini, l’inquinamento psicologico che riduce ogni forma di conoscenza alla pura utilità …”. Pensi ci sia una speranza, un futuro migliore per il nostro pianeta? C’è per l’uomo, la possibilità di trovare nuove radici?
Come uomo spero che la specie di cui faccio parte ce la possa fare. Non dipenderà da me, ovviamente, e nemmeno dagli uomini che oggi popolano il pianeta. Spero di sì anche se vivere presenta molte, troppe sorprese negative. E d’altro canto la crisi delle nostre società, delle nostre economie, ci stanno riportando in un mondo che si credeva superato. Ma tocca a noi fare di più.
Un piccolo desiderio di Tiziano Fratus.
Vivere bene. Ricercare la “felicità” come faceva un mio involontario maestro, Jean Giono.