Il 24 novembre 1928 nasce a Roma il vibrafonista e pianista Giuseppe “Puccio” Sboto, una delle più singolari figure del jazz italiano, irregolare nell’impegno, ma fondamentale nella formazione di una lunga serie di giovani musicisti Nel 1934, quando non ha ancora compiuto sei anni, inizia studiare pianoforte classico incoraggiato dai genitori. Che la carriera del concertista non faccia per lui appare evidente quando, a quattordici anni, dopo aver ascoltato Gorni Kramer decide di passare provvisoriamente a un’altra tastiera, quella della fisarmonica. Nell’immediato dopoguerra è uno dei protagonisti del grande fermento jazzistico della capitale.
Tra i protagonisti del dopoguerra
Volubile e poco incline a lasciarsi coinvolgere da “impegni fissi” soltanto nel 1956 accetta di entrare in pianta stabile nella Roman New Orleans Jazz Band con la quale partecipa anche a due edizioni del Festival Mondiale della Gioventù (Mosca e Vienna). Dal 1960 al 1963 è uno dei componenti della Modern Jazz Gang. Successivamente il suo nome ricompare qua e là accanto a personaggi come Gato Barbieri, Don Byas e tanti altri, pur senza cercare riferimenti fissi.
Amava il jazz più della carriera
Per tutta la sua vita si comporta come un musicista innamorato più del jazz che della carriera. Le apparizioni discografiche, tutte di altissima qualità, sono discontinue e irregolari. In più sembra divertirsi a spaziare tra i generi, dal mainstream moderno all’hard bop, senza curarsi troppo di seguire un percorso logico. Negli anni Settanta, quando tutti lo danno per scomparso, riemerge improvvisamente a capo di varie formazioni di giovanissimi musicisti. Lo fa per scelta perché crede nelle possibilità di liberare il jazz italiano dalle ruggini del periodo semiclandestino degli anni del fascismo e da un dopoguerra un po’ troppo condizionato dagli influssi d’oltreoceano.