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Chiude la boutique dei Beatles

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Il 31 luglio 1968 la boutique Apple di Londra chiude battenti regalando le rimanenze ai clienti. È il fallimento sostanziale di una delle sezioni più importanti della società creata dai Beatles dopo la morte del loro scopritore, manager e amico Brian Epstein.

Incertezza e difficoltà

La chiusura della boutique è solo l’ultima tappa di un cammino segnato dall’incertezza e da crescenti difficoltà nei rapporti interni alla band. Negli anni successivi John Lennon confesserà: «La morte di Brian ci aveva sconvolto. In quel momento fu Paul (McCartney) ad assumere il controllo della situazione. Prese per mano il gruppo e iniziò a condurci, ma non tutti eravamo d’accordo di andare nella direzione che aveva scelto. Fu allora che cominciò la nostra disintegrazione, non dopo». Eppure in quel momento i Beatles sembrano nocchieri di una nave inaffondabile. Su proposta di Paul viene fondata la Apple, un’organizzazione di proprietà di tutti e quattro i componenti della band destinata a occuparsi della produzioni in campo artistico e della gestione di vari settori merceologici collegati all’immagine del gruppo.

Da Magritte l’ispirazione

Il nome e il marchio sono ispirati a un quadro del pittore belga René Magritte, mentre per la sede della società viene scelto un imponente palazzo del XVIII secolo situato in un angolo di Baker Street a Londra. La prima operazione, il film “Magical mistery tour”, si rivela un clamoroso fiasco commerciale e artistico. Le perdite vengono in parte compensate dal successo delle canzoni contenute nella colonna sonora. Più grave è la chiusura della boutique perché evidenzia anche il fallimento del tentativo di gestire in modo commercialmente interessante l’immagine del gruppo. Nel disastro generale fa eccezione il settore musicale e della produzione discografica, che continua a essere trainato dal costante successo del marchio Beatles e dal lancio di alcuni giovani talenti, ma la solidità interna del quartetto mostra le prime evidenti crepe. Con la boutique si chiude un sogno.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".