Home C'era una volta Ravi Shankar: lasciatemi in pace, non sono una rockstar!

Ravi Shankar: lasciatemi in pace, non sono una rockstar!

SHARE
Ravi Shankar is the sitar master who brought Indian classical music to the West.

Il 22 ottobre 1967 in un’intervista rilasciata al New York Times l’indiano Ravi Shankar esprime il suo fastidio per le eccessive attenzioni cui lo sottopongono i media e minaccia di sospendere il corso, che tiene all’Università di New York.

Il sitar non è soltanto uno strumento musicale

l clamore suscitato attorno a lui disturba il suo lavoro. «Prima di essere uno strumento musicale, il sitar è una porta per conoscere la millenaria cultura del mio paese». Invece sempre più spesso le sue lezioni si trasformano in un chiassoso appuntamento per ragazzi attirati non dalla musica e neppure dalla straordinaria cultura che in essa si esprime, ma dal personaggio dello “strumentista che ha suonato con i Beatles”. La stessa università ha chiaramente puntato sulla sua popolarità a scopo promozionale, accettando di aprire i suoi corsi (a pagamento) a chiunque ne facesse richiesta. Le lamentele e, soprattutto, la minaccia di andarsene, sono destinati a ottenere il risultato voluto selezionando gli studenti ammessi sulla base della preparazione culturale e musicale. La vicenda suscita un clamore sproporzionato per un musicista che non è un ragazzino e non ha nulla della rockstar.

La popolarità, un mezzo per far conoscere la cultura musicale indiana

Nato nel 1920 a Benares, in India, Ravi Shankar, figlio di un bramino ortodosso indù, si dedica alla musica fin da piccolo girando il mondo con la compagnia di musica e danza del fratello maggiore Uday. A diciannove anni torna in India per imparare dal maestro Baba Khan la difficile arte del sitar, lo strumento fondamentale della musica indù. Scoperto da George Harrison, appassionato di filosofia orientale, accetta di insegnargli i primi rudimenti della sua arte. Nel 1967, dopo l’inserimento del sitar nel tessuto strumentale del brano Within you without you dei Beatles, l’interesse del pubblico per la musica orientale tocca l’apice e Ravi Shankar si trova al centro dell’attenzione. Personaggio schivo e riservato, il musicista vede nella popolarità un mezzo per far conoscere la cultura musicale indiana all’occidente. Si considera, però, più uno studioso che un personaggio pubblico e raramente accetta di mescolarsi con generi diversi dal suo. Quando lo fa si ritaglia uno spazio particolare come accade al Festival di Monterey o a quello di Woodstock. Le sue registrazioni vengono raccolte in vari dischi, alcuni dei quali di notevole importanza nel campo delle ricerca sulla tradizione musicale indù.

22

Previous articleMonette, la regina del musical nero
Next articleDo you really want to hurt me, un brano di scorta
Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".