Il 6 giugno 1970 arriva sorprendentemente ai primi posti della classifica britannica dei singoli più venduti In the summertime, una canzoncina senza pretese di facile ascolto e di altrettanto facile memorizzazione destinata a lasciare un segno indelebile nella storia del pop per i suoi suoni sporchi e per l’utilizzo di strumenti inusuali, compreso il soffio cadenzato nel collo di una damigiana e lo sfregamento di una grattugia. Il disco venderà sei milioni di copie e arriverà al primo posto nelle classifiche di ben ventisei paesi, Italia compresa.
Un gruppo senza batteria
Gli interpreti di In the summertime si chiamano Mungo Jerry, una band formata l’anno precedente dal cantante e chitarrista Ray Dorset insieme a Paul King, anche lui esperto di strumenti a corde, al tastierista Colin Earl e al bassista Mike Cole. Manca un batterista ma non è una dimenticanza. I Mungo Jerry, infatti, nascono nella mente di Dorsey come una sorta di band povera, sulla falsariga delle jug band statunitensi, a strumentazione variabile e arricchita dall’uso musicale di strumenti inusuali come bottiglie, grattugie, pettini, barattoli e altri oggetti d’uso comune. Il loro stile richiama lo skiffle, una moda nata dieci anni prima nelle periferie delle città industriali, soprattutto a Liverpool dove alla fine degli anni Cinquanta molti giovani si guadagnavano da vivere suonando nei locali o in strada con strumenti fatti in casa. Nel 1955 la moda aveva avuto un brano di culto in Rock Island Line di Lonnie Donegan e fra i numerosi adepti di questo genere musicale potevano essere inseriti anche i Quarrymen del John Lennon pre-Beatles. Paradossalmente In The Summertime può essere considerato il più grande successo dello skiffle anche se arriva nel 1970 quando la moda è già da tempo morta e sepolta. Di certo nessuno se l’aspetta. Non se l’aspettano i discografici che intuiscono le possibilità del brano soltanto dopo che le radio di ogni parte del globo hanno cominciato a inserirlo nella loro programmazione e non se l’aspettano i Mungo Jerry che si sentono fondamentalmente una band da strada e non sono psicologicamente attrezzati per reggere la popolarità internazionale e gli obblighi che in qualche modo ne derivano. Se all’imprevidenza dei discografici si può rimediare stampando in fretta e furia qualche milione di dischi per il gruppo non è così facile. Caricati a forza su vari mezzi di trasporto si trovano a girare come trottole da un paese all’altro, da una trasmissione televisiva all’altra. Il successo così rapido e inatteso finisce per metterli in crisi.
Tra pressione e modifiche forzate, il rapido declino
Mentre i discografici tentano di sfruttare la formula con un altro paio di singoli di buon successo come Baby jump e You don’t have to be in the army to fight in the war il gruppo non regge la pressione. Pochi mesi dopo il successo di In the summertime Mike Cole se ne va, sostituito rapidamente dal bassista John Godfrey. Un po’ stralunati e fondamentalmente incapaci di orientarsi i Mungo Jerry finiscono anche per disorientare un po’ il pubblico che li aveva visti come una sorta di alternativa alle patinate esibizione delle pop band del periodo. I fans italiani assistono con qualche sgomento alla loro partecipazione al Festival di Sanremo del 1971 cui concorrono interpretando in coppia con Piero Focaccia il brano Santo Antonio Santo Francisco scritto dalla “premiata ditta” Conte-Pallavicini. Mal consigliati e prigionieri di un sistema che non controllano finiscono aggiungere errore a errore. Nel 1972 dopo il primo vero e sostanziale calo di vendite la casa discografica chiede loro di “elettrizzare” maggiormente i suoni. Mentre Ray Dorset è possibilista Colin Earl e Paul King non ci stanno e salutano la compagnia. L’uscita dei due sembra un colpo di fortuna perché consente a Dorset di “normalizzare” la formazione con l’arrivo del tastierista Jon Pope e soprattutto con l’inserimento del batterista Tim Reeves. In realtà è l’inizio della crisi definitiva. A partire dal 1974 i Mungo Jerry sono divenuti praticamente una sigla dietro alla quale si nasconde il solo Ray Dorset con il supporto di musicisti di studio. Nel 1977 Dorset convincerà Colin Earl a seguirlo nel tentativo di ridare vita alla band con il bassista Chris Warnes e il batterista Pete Sullivan, ma ormai lo spazio loro riservato è soltanto quello della nostalgia e del revival.