La sera del 18 aprile 1971 i Family sono attesi al Palalido di Milano, il palazzone in Piazza Stuparich da qualche anno destinato al rock e alla boxe. L’inizio del concerto è fissato per le ore 21 e il prezzo dei biglietti è di mille lire in galleria, duemila in gradinata e tremila in platea. Nei giorni che precedono il concerto proprio il prezzo dei biglietti è stato oggetto di contestazioni accese perché ritenuto eccessivo. Alcuni gruppi extraparlamentari di sinistra invitano all’azione diretta ma non è ancora tempo per questo tipo di iniziative. Alcuni anni dopo in situazioni analoghe si avrà la presenza di nutriti gruppi di giovani che tenteranno di sfondare le barriere d’ingresso inneggiando all’autoriduzione. Nel 1971, però, gli “autoriduttori” sono soltanto un’intenzione. I Family, la cui tournée italiana è sponsorizzata dal settimanale “Ciao 2001” e dal Piper Club, arrivano direttamente da Roma dove il giorno prima hanno tenuto ben due concerti al Teatro Brancaccio. L’appuntamento è di quelli da non mancare, anche se quelli che si atteggiano a smaliziati o gli snob che la sanno più lunga degli altri sostengono che lo spirito originario della band se ne sia andato da tempo.
Gli snob hanno torto
Chi diserta il concerto milanese per snobismo ha torto. I Family sono al culmine del loro miglior periodo, nonostante la formazione non sia più quella originaria nata nel 1966 dalla fusione di due gruppi di Leicester, Jim King & The Farinas e Roaring Sixties. Dei componenti originari sono rimasti il cantante Roger Chapman, il chitarrista Charlie Whitney e il batterista Rob Townsend, mentre il sassofonista Jim King, ritiratosi a vita privata, e il bassista Rick Grech, passato con i Blind Faith, sono stati sostituiti dal chitarrista John Weider già con Eric Burdon & The Animals e dal tastierista John “Poli” Palmer, proveniente dai Blossom Toes e dagli Election. Questa formazione, che oggi i critici ricordano come una delle migliori della storia della band, quando arriva in Italia ha all’attivo due album di tutto rispetto come A song for me e Anyway.
Un grande concerto
Il concerto milanese dei Family tarda a iniziare e il pubblico che affolla il Palalido diventa irrequieto e rumoreggiante. Ci vuole poco, però, a calmarlo. Quando sul palco appare il carismatico Roger Chapman scende il silenzio. Salgono anche gli altri componenti e lui, senza dire una parola, dà il segnale d’inizio del concerto. Alla fine dell’esibizione, che ha raggiunto il culmine in una A song for me dilatata all’inverosimile con incursioni solistiche di tutti i componenti della band, tocca allo stesso Chapman il compito di ringraziare i giovani milanesi: «Sono stati fantastici. Noi viviamo per la musica dal vivo, non possiamo farne senza. Abbiamo bisogno di un contatto continuo con il nostro pubblico. È lui che ispira la nostra musica». Nessuno può immaginarlo, ma la formazione che si esibisce a Milano ha i giorni contati. Due mesi dopo Weider se ne va e viene sostituito da John Wetton, l’ex bassista dei Mogul Trash, ma è ormai iniziata la lenta dissoluzione dei Family. La loro produzione diventerà sempre più stanca anche per le diserzioni e i cambiamenti di formazione. La fine ufficiale del gruppo verrà annunciata nell’ottobre del 1973: in tempo per lanciare un antologico d’addio.