La corsa agli Oscar sta per concludersi: in attesa della grande notte del 26 Febbraio diamo uno sguardo ai titoli che si sono aggiudicati il maggior numero di nomination, con in più un incoraggiamento al film italiano in lizza come migliore documentario, Fuocoammare.
LA LA LAND di D. Chazelle – 14 nomination tra cui Miglior Regia e Migliori Attori protagonisti per Emma Stone e Ryan Gosling
Vincitore quasi conclamato è La La Land, film musicale che racconta un amore “ballerino”. La componente musicale del film ha una funzione estetica, e questo risulta perfettamente coerente in una atmosfera di bellezza diffusa, priva di sbavature. Nella “terra del lalalà” ci si muove leggeri ma a tempo di musica, e guai a non sapere i passi. La macchina da presa è capace di capriole virtuose, in una sinfonia di figure e colori che è innanzitutto un tributo a quel perfezionismo di altri tempi che ha reso Hollywood l’industria dei sogni. Non si può restare impassibili, a meno che non si abbia una avversione per il genere, di fronte al tip tap di due innamorati sullo sfondo di un cielo violaceo: per quanto consapevoli della finzione, quel fondale ci assorbe, e quelle giravolte ci regalano un sollievo istantaneo. Da apprezzare anche quella pennellata di realtà che rende la storia dei protagonisti simile alle nostre, sempre sospese tra l’amore e la spinta egoistica. Unica pecca, forse, il contesto rappresentato: il mondo dello spettacolo è già sufficientemente presente in termini estetici e valoriali per essere anche il mestiere dei protagonisti, che sono un’attrice e un jazzista: è arrivato il momento di scoprire altri talenti, tanto più che tutti hanno diritto al loro la la land.
THE ARRIVAL di D. Villeneuve – 8 nomination tra cui Miglior Film e Miglior Montaggio
The Arrival è un film insolito nel suo genere, perché smentisce le previsioni senza rinunciare a costruire un’attesa tensiva. La tensione è quella tipica della fantascienza, tutte le volte che oggetti alieni giungono a minacciare i nostri cieli. L’inatteso è che con gli alieni si possa comunicare (Spielberg docet), in un modo poco credibile ma comunque poetico da vedere. Molto interessante l’idea, meno interessante la vicenda personale della protagonista, massima esperta di traduzioni che viene incaricata di stabilire una comunicazione con le creature. Queste creature emettono dei segnali di fumo a forma di anello: è l’idea che la comunicazione, per ritrovare il suo valore più alto, debba tornare alle origini, ovvero al desiderio stesso di capire e farsi capire dall’Altro. C’è un momento del film in cui gli Stati, vittime della paura dell’invasione, smettono di comunicare tra loro, e la guerra è alle porte: messaggio politico di grande attualità. E non è un caso neppure che l’alfabeto alieno, nella sua estrema complessità, abbia una forma circolare, perché l’altro grande tema del film è il tempo, che si riafferma tutt’altro che lineare.
MOONLIGHT di B. Jenkins – 8 nomination tra cui Miglior Film e Migliore Sceneggiatura Non Originale
Prodotto da Brad Pitt ed interamente calato nel reale, a differenza dei titoli precedenti, Moonlight è un racconto di formazione di grande intensità, suddiviso in tre capitoli: infanzia, adolescenza, età adulta. Protagonista Chiron, ragazzino nero bullizzato che vive con la madre tossicodipendente nei sobborghi di Miami, e finisce per stringere un legame affettivo molto forte con lo spacciatore del quartiere, che identifica come figura paterna e modello di riferimento. In ogni capitolo vediamo Chiron cambiare volto, conoscere il dolore e scoprire l’amore: sono tre gli attori che interpretano il protagonista, e sono tutti bravissimi a dare voce ad un personaggio dall’animo tormentato ma di pochissime parole: uno di loro, Mahershala Ali, ha conquistato con la sua interpretazione la nomination come Migliore Attore. Ad ogni passaggio temporale, ad ogni trauma subito da Chiron, corrisponde un adeguamento comportamentale, e piuttosto che vederlo “agire” lo si vede “agito” dal condizionamento ambientale, tanto da ricalcare le orme del padre putativo e diventare spacciatore a sua volta. Ma quando sembra che la mancanza di amore e gli abusi dei bulli abbiano compromesso per sempre la capacità di Chiron di scegliere, ecco che il ragazzo riceve una telefonata dal passato e si riappropria della sua vita.
FUOCOAMMARE di G. Rosi – Nominato come Miglior Documentario
Già vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino e fortemente sostenuto in patria da Meryl Streep, Fuocoammare è strutturato sulla base dell’alternanza tra l’immobilità delle vicende dei lampedusani e il tragico dinamismo di quelle dei visitatori, i migranti sui barconi della morte.
Da un lato si viene travolti dalle immagini che testimoniano l’epopea dei migranti e ricostruiscono tutta la filiera del loro salvataggio, dalla ricezione del disperato SOS al recupero dei corpi in mare aperto. Toccanti le reazioni di totale spaesamento di chi, avvolto in una coperta termica, realizza di avercela fatta ma di avere perso tutto, e di essere vivo ma senza i propri cari, lontani o periti nella traversata. Bellissima la manifestazione di dignità di un migrante nigeriano, che affida ad un canto liberatorio il racconto dell’epopea sua e dei suoi compagni: dal deserto alla Libia, dal mare a Lampedusa “sembrava impossibile ma noi abbiamo rischiato e ce l’abbiamo fatta, siamo vivi, siamo qui”. È un canto gioioso, un inno alla vita, nonostante tutto.
Dall’altro lato si viene accarezzati dal racconto di una placida quotidianità, quella degli abitanti dell’isola, che scorre indisturbata nella ritualità di cose sempre uguali fin dalla notte dei tempi: il sostentamento della pesca, il pasto della famiglia seduta a tavola, la venerazione dei Santi e dei defunti. Il tempo è talmente fermo a Lampedusa che il fuocoammare raccontato dalla nonna a Samuele, il bambino protagonista del film, non è quello dei barconi, ma quello che si vedeva durante la Seconda Guerra Mondiale. Persino Samuele, che rappresenta la speranza riposta nelle nuove generazioni, è bambino in mezzo agli anziani, non riesce a imparare l’inglese, sta facendo l’apprendistato da pescatore, e sembra trovare la sua identità nell’adesione incondizionata a ciò che è inscritto nel suo corredo genetico. Ma c’è un’ombra sulla sua serenità: Samuele è preoccupato, e va dal medico perché di tanto in tanto prova una sorta di affanno, un senso di ansia. Forse la ritualità dei gesti e dei discorsi di cui è circondato non gli basta più, forse la sua curiosità lo ha già spinto al di fuori del territorio che gli è familiare, ora è arrivato il tempo di aprire bene gli occhi – non a caso Samuele soffre di problemi di vista – e di avventurarsi in un altro mare pauroso, quello della vita.