Vedere migliaia di facce e visitare decine di luoghi. Non è certamente semplice la vita del cooperante in mezzo a situazioni di povertà, sofferenza e morte. Eppure, è proprio grazie all’impegno di queste persone che veniamo a conoscere realtà molto lontane da noi. Leonardo Radicchi ha raccontato sulle pagine di Dailygreen la sua esperienza in Sierra Leone e in Afghanistan con Emergency e ci ha parlato del suo esordio letterario In fuga (Rupe Mutevole, 2016).
In fuga, l’esordio letterario di Leonardo Radicchi
Leonardo, grazie di aver accettato il nostro invito. Se dovessi descriverti in quindici righe, quali parole adopereresti?
Grazie a voi. Questa è una domanda trabocchetto! Come quando ti chiedono quale sia la tua canzone preferita. Se rispondi I shout the sherif sei un fricchettone, con Misty Mountain Hop un sofisticato rockettaro, se dici la Seconda di Mahler ti vedono già seduto su una poltrona a leggere un grosso volume alla luce di una lampada col paralume verde, il jazz non vale, piace a molti che non lo dicono e chi lo dice lo fa per sembrare sofisticato, infine se dici un pezzo della Amoroso, beh, allora si cambia discorso. È una domanda con cui è facile appiccicarti un’etichetta insomma.
Quindi? Non ti rispondo!
Sei stato in numerosi Paesi e in diversi continenti. Non ultimo, in Sierra Leone per dare il tuo contributo a gestire la crisi Ebola nel 2014. Vuoi raccontarci di più?
Ho passato in Sierra Leone circa un anno e mezzo. Sono arrivato nel paese quando Ebola non c’era ancora e, come s’è visto poi, nessuno se l’aspettava. È stato un periodo molto complesso che è impossibile riassumere in poche righe. Ci sono state grandi contraddizioni e grandi prove di solidarietà.
Emergency in particolare ha scelto la via più difficile e più coerente, come è solita fare: garantire un trattamento di alta qualità alla popolazione sierra leonina esattamente come si sarebbe fatto con un europeo. Non è stato facile ma nel medio periodo l’approccio del Dott. Strada ha segnato un cambio di passo. Ebola è una malattia per poveri e ha fatto emergere in tutta la sua crudeltà il fatto che nascere nel paese sbagliato segna il passo della dignità che ti viene riconosciuta. Personalmente poi è stato un periodo intenso, come dieci anni condensati in uno; tra le altre cose è stata la mia prima esperienza diretta con la morte, una morte crudele e spaventosa che non poteva non cambiarmi profondamente. Ma dopo Ebola c’è stato l’Afghanistan e la mia evoluzione personale, così come la percezione di ciò che mi circonda, è cambiata ancora.
Recentemente hai scritto anche un libro, In fuga (Rupe Mutevole, 2016). Quand’è nata in te l’idea di scriverlo?
L’idea è nata all’Università, ormai molti anni fa. Le storie che hanno alimentato In fuga le ho incontrate, ricostruite e scritte durante il mio girovagare da allora a oggi. All’inizio non avevo chiaro in mente che tutte le storie parlassero di fuga. È stato alla fine, quando le stavo mettendo insieme, che ho realizzato come questo tema fosse talmente evidente in tutte da creare l’ossatura per un libro. Le storie di In fuga, infatti, sono ben separate sia stilisticamente che per i fatti narrati; è un libro di contrasti a tratti incoerente perché così è il pezzetto di mondo che ho visto. Anzi è proprio per questo che credo stia insieme perché ci sono un sacco di differenze che si incastrano e spero diano al lettore una grande varietà di stimoli.
Il tema della Fuga è centrale nelle pagine del tuo libro. E in ognuno dei racconti di In fuga, sembra quasi che tu voglia catturare un frammento delle realtà che hai incontrato…
Esatto, catturare la realtà. E fissarla con gli strumenti della narrativa, del racconto inventato. Non sono un giornalista o uno scrittore di viaggio ma ho avuto l’occasione di vivere e lavorare in diversi luoghi tra cui Stati Uniti, Afghanistan, Sierra Leone, Italia, e di transitare in molti altri; le storie che incontravo spesso erano talmente incredibili nella loro normalità da sembrare inventate. Storie che se prese nelle loro premesse e riportate alla loro dimensione fisica azzeravano di colpo distanze e differenze artificiose tra gli uomini e le donne di questo piccolo pianeta. Certo ci sono differenze anche sostanziali nella vita e nelle ragioni di fuga di un afghano dalla guerra rispetto a quelle di un ragazzo statunitense vittima di bullismo o ancora da quelle di una donna che fugge da una relazione vuota o di un tardo-adolescente italiano che fatica a trovare una posizione nella società.
Per questo ho cercato di caratterizzare stilisticamente ogni storia usando tecniche narrative a volte agli antipodi. Mi è stato fatto notare che le storie appartengono a genere narrativi anche molto diversi, come il racconto sperimentale o quello western contemporaneo, il noir e lo psicologico. Quel che resta alla fine però sono storie di persone di sesso, periodi e continenti diversi che stanno insieme in un unico libro che parla di come hanno cercato di fuggire. C’è poi altro, diversi piani di lettura presenti dentro In fuga… ma questo spetta al lettore scoprirlo.
Tra tutti i paesi che hai visitato e le culture che hai conosciuto, c’è’ un luogo in cui hai lasciato un pezzo del tuo cuore?
Altra domanda trabocchetto! Non saprei, davvero. Ho legato un’amicizia profonda con dei coriacei pashto dell’Helmand, la vasta regione desertica nel sud dell’Afghanistan, così come l’ho fatto con dei musicisti jazz di New York di origine messicana o dei muratori della Sierra Leone. Per non parlare dei luoghi in sé! Non ho idea di cosa preferisco tra le montagne del Panjshir, le baie della Sierra Leone o le colline toscane. In generale credo di essere molto fortunato ad aver avuto la possibilità di vivere in diversi luoghi e lavorare con persone tanto diverse, anche se questa non proprio è una risposta alla tua domanda!
Hai in mente di realizzare un tour per promuovere In fuga e far conoscere al pubblico le tue esperienze in terre tanto diverse?
Certamente, faremo delle presentazioni ma saranno dettate soprattutto dalla rete di amicizie o dall’interesse che il libro potrà suscitare. Non credo che le mie esperienze personali siano tanto interessanti da importare a qualcuno, sono certo però che queste storie, come migliaia di altre che nessuno ha ancora raccontato, siano degne di attenzione e possano complicare un po’ il quadro di chi pensa di avere le idee molto chiare su come va il mondo.
La foto in copertina è tratta dal sito www.mondoraro.org