Cojímar, un paese costruito di fronte al mare nella parte est dell’Avana, non è solo la zona di case di uno o due piani su entrambi i lati della sua Via Reale. Di Cojímar, però, conoscevo situazioni e personaggi dei quali potevo parlare solo dopo aver letto Ernest Hemingway e gli eventi della storia di questa località.
Cojímar, dove Hemingway ormeggiava la sua barca
Prima di decidermi ad attraversare il tunnel della baia e impiegare poco più di 15 minuti in autobus lungo la vecchia strada che costeggia il mare, un amico, dopo avermi spiegato come arrivare, mi strinse la mano: “Prima del trionfo della Rivoluzione, Cojímar era un umile paesino di pescatori, disse. Poi dopo i primi anni della Rivoluzione è diventato un umile paesino – fece una pausa per creare suspense -. Ora… ora è solo umile – ridacchiò.”
Il mio amico, conoscitore di un grande repertorio di barzellette che hanno come tema i paesi socialisti, mi suggerì di portare la fotocamera. Annuii. Altra stretta di mano. Saluti.
In generale la forza di attrazione di un insediamento non proviene da tutta la sua geografia, ma solo da una parte dello stesso. Basta ripercorrere le strade di Cojímar, Viñales, Trindad, Bayamo, La Habana Vieja, è facile avvertire l’interesse dei forestieri. Arrivato alla mia destinazione, ne sarei stato un esempio perfetto. Uno in più nella “orda”. Nonostante l’inesistenza di un enclave di hotel nella zona preferita dai turisti e di una estesa rete di bar e ristoranti, Cojímar continua ad essere nell’agenda delle agenzie di viaggio, guide, turisti.
Se come ha detto il mio amico Cojímar ora è “solo umile”, che succede laggiù per far persistere l’interesse di guide, tassisti, viaggiatori e di tutti quelli disposti a entrare in affari nell’ambito del turismo per avere una fonte di guadagno?
Cuba è al centro dell’attenzione di politici, artisti, intellettuali, giornalisti, commercianti, turisti. Questo interesse è aumentato dopo aver reso pubbliche le conversazioni tra i governi degli Stati Uniti e di Cuba il 17 dicembre del 2014.
Cojímar non è stato argomento di discussione dei presidenti Raúl Castro e Barack Obama. Ma lo è stato Cuba. Le speranze di molti abitanti di Cojímar coincidono con il resto dei cubani post 17 dicembre. Dopo i primi accordi, spinti dalla visita di icone della moda, della musica, viaggiatori VIP o di classe economica, prendendo in considerazione l’aumento dei prezzi nel mercato immobiliario, sapendo che Cojímar ha molto mare intorno a sé e uno spazio nell’opera di Ernest Hemingway, non pochi “lungimiranti” si sono fatti i loro conti. Hanno deciso, così, di stabilirsi in questo paesino della costa.
I “lungimiranti” riescono a decifrare segni e indizi che passano inosservati ai più, e possono anche contare su informazioni di prima mano e capitale da investire. Conoscono qualcosa di questo futuro, del futuro di Cuba, un avvenire di punti interrogativi – molto alto è il numero di cubani decisi a emigrare.
Come nel resto di Cuba, a Cojímar si vendono case, terreni. Il movimento edile è intenso, si costruisce con non poco mal gusto e molti soldi. È lo spasso della forma, il delirio del colore. Alcuni imprenditori investono negli affari di gastronomia – El Ajiaco, Las Brisas o Casa Grande -, nel settore alberghiero – affittacamere nella stessa casa abitata dal nucleo familiare, affitto di case, affittacamere in ostelli privati – , e hanno anche investito nel resto dei servizi dove lo Stato è rimasto indietro. Tutti hanno voluto tirare fuori dividendi dal mare, dal sole, dal tempo libero, dal fantasma di Hemingway.
La storia di Cojímar non è recente, il suo inizio è situato molto prima del XIX secolo. Archeologi e storici da un lato; indigeni, colonizzatori, schiavi africani dall’altro; nel 1555 questa zona era senza dubbio un contesto sociale ed economico, le prove lo certificano. Nonostante ufficialmente non sia mai stata fondata, si pensa all’anno 1649 come data iniziale nella linea di tempo della sua storia, il 16 luglio per essere precisi, giorno della Vergine di del Carmelo.
Quanto ci sarà di Cojímar nei suoi abitanti?
Non c’è paese senza chiesa, nemmeno chiesa senza santo o vergine. Quella di Cojímar è abbastanza modesta, la chiesa voglio dire, la Stella Maris è la patrona – vergine mariana; veglia su coloro che pescano nel mare, sui familiari di questi uomini il cui combattimento non ha luogo solo tra la riva e la scogliera.
Il 16 luglio di pomeriggio si fa scendere la Vergine dall’altare. È la processione, sono passati 137 anni dal primo pellegrinaggio, la Santa Signora veniva portata in barca al centro della baia o insenatura. Quattro angeli la accompagnano, porta il bambino Gesù molto vicino al petto. Dietro all’immagine della Vergine, donata alla chiesa dalla sposa dell’imprenditore di saponi catalano Don Joaquín Boada, seguono fedeli di tutte le età, il Consiglio Parrocchiale, curiosi a metà strada tra l’ateismo e il dubbio. Anche la polizia accompagna la processione, una banda musicale tesse in maniera quasi infinita la colonna sonora. Sembra che il 16 luglio sia sempre un giorno di pioggia, almeno questo dicono alcuni fedeli.
Adulti, giovani, bambini; aspettano sui marciapiedi o marciano mischiati nella processione – un piccolo altare nelle mani, un sorriso, la pace o la disperazione sul volto -. Sono abitanti di un secolo in cui la tecnologia ha democratizzato lo scatto delle immagini. Selfies, video, foto.. quelle immagini che poi rivestiranno le reti sociali.
La tendenza a Cojímar e nel mondo è la leggerezza, l’oblio. I motivi sono diversi: ci sono i problemi urgenti della vita, i recinti alzati dai centri di potere, il disinteresse marcato. In generale, l’individuo comune rimane lontano dalla vera emancipazione, a non pochi cojimeri succede lo stesso.
Quanti sapranno che, da austero paese di pescatori, nel XIX secolo Cojímar è diventato un famoso centro balneare? Sì, ci sono tracce di quell’era d’oro.
Quanti sapranno del ruolo del suo popolo, o di alcuni dei suoi colonizzatori, quando nel 1762 gli inglesi presero L’Avana? Ho cercato delle targhe poste a informare il nativo e il viaggiatore sulle schermaglie di un gruppo di uomini comandati dal Sindaco Maggiore di Guanabacoa. Non sono abbondanti, nemmeno molto esatti i dati nella biografia di José Antonio Gómez Bullones, meglio conosciuto come Pepe Antonio, perché non si ha certezza del suo nome né della sua data di nascita e di morte. Le cose certe sono la sua strategia di attacco, tipica dei gruppi guerriglieri, e le perdite causate agli inglesi nella zona compresa tra Cojímar e Jaruco. Sì, la nebbia dello ieri spostata verso il presente: non ho trovato niente su Pepe Antonio, i suoi uomini, tantomeno dei combattimenti avvenuti per resistere all’invasione degli inglesi.
Ho continuato, fotocamera alla mano, per le strade di Cojímar. Ho provato a far cadere veli. Dopo il cambio di secolo Cojímar avrebbe vissuto un lungo declino; tra le altre ragioni, avrebbe influito sul suo tramonto la creazione di altri centri balneari nelle spiagge dell’est dell’Avana, la dura crisi degli anni 90, l’inefficienza e la pigrizia delle istituzioni.
Neanche la testardaggine di un vecchio pescatore e quello che offre o toglie il mare ha potuto arrestare il tramonto. Santiago, nel racconto di Hemingway, torna con un amo quasi divorato dagli squali, è una sorta di metafora per capire, in una frase, la storia di questo paese. Sì, Cojímar è un paese venuto meno nonostante Hemingway e il suo libro Il vecchio e il mare, perché la spiaggia di El Cachón non solo è stata lo scenario della storia narrata, ma il cojimero Gregorio Fuentes (1897-2002) è parte del sottostrato del personaggio Santiago. Cojímar sembra, sì, un paese sconfitto, ma forse non battuto. Non poco ha potuto il fantasma di Hemingway che ha preso corpo in una testa di bronzo in un padiglione di fronte al fortino, clonato su tele a olio nelle fiere dove regna il kitsch.
Il fantasma del Premio Nobel soffre a Cojímar, ma allo stesso tempo lotta. Questo fantasma, la cui imbarcazione chiamata El Pilar è stata capitanata da Gregorio Fuentes, è appena ancorato nella memoria dei familiari di coloro che lo videro sbarcare o uscire per pescare dal molo nella foce del fiume Cojímar. Il rumore delle sue catene si manifesta, per esempio, nella regata che ora sostituisce il Torneo Internazionale spostato alla Marina Hemingway, troppo lontano da Cojímar e dal portafoglio dei cojimeros. È un evento minore, il giusto per attrarre un pubblico prigioniero. Il bar ristorante La Terraza è un altro degli spazi di resistenza del fantasma di Ernest. La Terrazza appare nell’opera dello scrittore nordamericano; con questo dettaglio convincono i turisti imballati a prendere un pacchetto turistico.
Non pochi cojimeros hanno saputo rendere leggera la propria vita. Se ne vanno a El Cachón. All’apparenza questa spiaggetta è uno degli scenari de “Los zapaticos de rosa”, poema scritto da José Martí (eroe nazionale o “mistero che accompagna” l’isola secondo lo scrittore José Lezana Lima). Tuttavia scelgono, della linea della costa, la parte più lontana da quella contaminata dalle acque del fiume Cojímar.
Alcuni storici pensano a Bath Beach (Brooklyn, New York), come spiaggia del poema. Non c’è nulla di certo al rispetto, forse i dettagli biografici caratteristici nell’opera poetica di Martí fanno pendere la bilancia a favore di Cuba o degli Stati Uniti. Ma gli storici registrano l’infezione polmonare e la sarcoidosi sofferta da José Martí, la sua amicizia con l’avvocato Don Miguel F. Viondi e Vera – proprietario di case estive a Cojímar, centro balneare consigliato dagli specialisti per alleviare i problemi respiratori -. Da congetture a indizi, dalla storia alla letteratura; se per Lezama l’Apostolo Martí è il mistero che ci accompagna, a Cojímar quest’altro Pepe è spesso un insieme di teste decapitate: gli stessi busti sparsi in parchi e istituzioni statali.
Nessuno dei bagnanti avvertirà il passaggio di El Pilar con Gregorio ed Ernest a bordo. Il passaggio della barca fantasma si confonderà con il diffuso viavai delle imbarcazioni nel canale dell’insenatura. La spiaggia El Cachón è meno letteraria che immonda; non solo è uno scalo per la spazzatura, le aure la sorvolano in cerca degli animali sacrificati durante le cerimonie religiose dedicate agli orishas del sepolcro Yoruba.
Con imbarcazioni o scialuppe di poco valore i pescatori si mettono sulle tracce delle sardine. C’è chi con l’acqua fino al petto scommette per un pesce di grandezza maggiore, quelle acque che si suppone siano del poema di Martí. Prima di abbandonare questo posto, una nota sociale: il Complesso Sportivo locale sfrutta questo specchio d’acqua per l’addestramento di ragazzi interessati agli sport con i remi, a disposizione hanno vecchie imbarcazioni.
Sì, la vita trascorre a Cojímar. In questo paese non ci sono carrozze coi cavalli, bensì portici disposti alla vendita di artigianato, tele a olio e foto dove Hemingway e il Che sporgono la testa. Con molta meno presenza Fidel Castro ha il suo spazio.
Parlando di iconografia è obbligatorio citare il fotografo Raúl Corrales (1925-2006). Nato nella provincia di Ciego de Ávila, buona parte della sua vita è trascorsa all’Avana – più precisamente leggasi Cojímar. Corrales realizzò un’opera fotografica documentale nella quale i tre cavalieri, adottati dalla letteratura e dalla guerra, sono stati protagonisti. Lo spirito di alcune di queste foto appare clonato nelle gallerie private o nelle bancarelle.
Episodi di vita che accadono nella Calle Real, arteria della costa chiamata anche José Martí. La Calle Real scende in picchiata non così gentile a un lato del un tempo lussuoso hotel Campoamor. Nel suo divenire è stato un centro medico; il centro di prevenzione della tubercolosi José Martí è un immobile abbandonato. Crepe, erbacce, arbusti sul tetto, assenza di finestre e porte, acciaio scoperto: pensare alla bellezza della distruzione forse come testimonianza dell’inefficacia.
Il centro di prevenzione continua a rimanere indietro mentre l’inclinazione va diminuendo. Prima di arrivare al mare, il legno e le tegole creole di non pochi immobili restistono ai colpi della natura e del tempo. Il passante vedrà più di una facciata trasformata. L’architettura qui è degna se si guarda il contesto interessandosi alla ricerca di tracce di una civiltà che conosceva l’architettura e il mestiere del costruttore, la Quinta Pedralves o la Quinta de Don Joaquín Boada è un buon esempio. Questo palazzetto fa mostra del suo tramonto. Così come il centro di prevenzione, le sue pareti lasciano vedere la vera arte di edificare rovine. C’è una casetta di legno a pochi metri dalla Quinta Boada; è stata un vero e proprio gioiello.
Se si riprende il senso di marcia del percorso, sorprenderà al passante un edificio degli anni 50 che merita una visita. Il suo disegno simula una imbarcazione; “La Barca”, così è comunemente chiamata.
A Cojímar si pesca anche sul lungomare, sul molo della passeggiata marittima, dalla pietra viva base del fortino. Un tuffo addolcito con bevande alcoliche è possibile nella spiaggetta che si estende ai piedi del lungomare, o sullo stesso molo dove di pomeriggio si pesca. Se si parla di un bagno al mare, l’altra alternativa è il Claro de Luna, non diciamo spiaggia, ma un paesaggio lunare eroso dall’impatto degli uragani, la crisi, la pigrizia.
Alla fine della giornata rimarranno sulla linea della costa i resti di un giorno di conforto: lattine, cartacce, contenitori di plastica, buste, le foglie del tamal (foglie di mais, ndr), e i segni dell’amore (fugace), la tenacia della vita in famiglia. Crostacei, insetti, roditori, mammiferi…gli animali cercheranno di approfittare di questi resti di una vita che trascorre vicina al mare, una vita che i venti della politica spazzano via a seconda della forza delle raffiche.
Traduzione di Alessandro Oricchio
Donde pena el fantasma de Hemingway —y el de Martí y Pepe Antonio
Por: Ahmel Echevarría
Cojímar, pueblo levantado de cara al mar al este de La Habana, no es la franja de casas de una o dos plantas a ambos lados de su Calle Real. Pero de Cojímar conocía escenarios y personajes de los que solo podía hablar tras haber leído a Ernest Hemingway y momentos de la historia de esta localidad.
Antes de tomar la decisión de cruzar el túnel de la bahía, y demorar poco más de 15 minutos en guagua por la Carretera Vieja bordeando el mar, un amigo, luego de explicarme cómo llegar, me estrechó la mano: “Antes del triunfo de la Revolución, Cojímar era un humilde pueblo de pescadores —dijo—. Luego de los primeros años de la Revolución se convirtió en un humilde pueblo —hizo una pausa: todo por el suspense—. Ahora… ahora es solo un humilde —carcajeó.”
Mi amigo, conocedor de un gran repertorio de chistes relacionados con los países socialistas, me sugirió llevar una cámara. Asentí. Otro estrechón de manos. La despedida.
Por lo general, la fuerza de atracción de un asentamiento no está relacionada con toda su geografía, sino con una porción del mismo. Basta desandar las calles de Cojímar, Viñales, Trinidad, Bayamo, La Habana Vieja, es sencillo advertir los intereses de los forasteros. Llegado a mi destino, sería el ejemplo perfecto. Uno más en la “horda”. A pesar de la inexistencia de enclaves hoteleros en la zona preferida por los turistas, tampoco una extensa red de bares y restaurantes, Cojímar permanece en la agenda de las agencias de viajes, guías, vacacionistas.
Si tal como dijo mi amigo Cojímar es ahora “solo un humilde”, ¿qué sucede allí para que persista en el interés de guías, taxistas, viajeros, y de todo aquel dispuesto a involucrarse en un negocio donde el turismo sea fuente de ingresos?
Cuba es foco de atención de políticos, artistas, intelectuales, periodistas, negociantes, vacacionistas. Ese interés se elevó tras hacerse públicas las conversaciones entre los gobiernos de Estados Unidos y Cuba el 17 de diciembre de 2015.
Cojímar no fue un punto a discutir entre los presidentes Raúl Castro y Barack Obama. Pero lo estuvo Cuba. Los deseos de muchos cojimeros coinciden con los del resto de los cubanos post 17D. Luego de los primeros acuerdos, animados por la visita de iconos de la moda, la música, de viajeros VIP o de clase económica, tomando en cuenta el alza de los precios en el mercado inmobiliario, sabiendo que Cojímar tiene mucho mar alrededor y un espacio en la obra de Ernest Hemingway, no pocos “adelantados” sacaron sus cuentas. Decidieron situarse en este pueblito costero.
Los “adelantados” logran descifrar signos e indicios desapercibidos por la mayoría, además cuentan con información de primera mano y capital para invertir. Algo conocen de ese futuro, del futuro en Cuba, un porvenir pura interrogante —muy alto es el número de cubanos decididos a emigrar.
Como en el resto de Cuba, en Cojímar se venden casas, terrenos. El movimiento constructivo es intenso, se construyen con no poco mal gusto y bastante dinero. Es el desmadre de la forma, el delirio del color. Algunos emprendedores invierten en el negocio de la gastronomía —El Ajiaco, Las Brisas o Casa Grande—, la hostelería —renta de habitaciones en la misma casa habitada por un núcleo familiar, alquiler de casas, renta de habitaciones en hostales particulares—, también han invertido en el resto de los servicios donde el Estado se mantiene a la zaga. Todos han querido sacarle dividendos al mar, al sol, al ocio, al fantasma de Hemingway.
No es reciente la historia de Cojímar, su punto de partida está ubicado mucho antes del siglo XIX. Arqueólogos e historiadores por un lado; indígenas, colonizadores, esclavos africanos por el otro; en 1555 esta zona era sin dudas un contexto social y económico, las evidencias lo certifican. Aunque oficialmente nunca se fundó, se tiene al año 1649 como marca inicial en la línea de tiempo de su historia, el 16 de julio para ser exactos, día de la Virgen de Nuestra Señora del Carmen.
¿Cuánto habrá de Cojímar en los cojimeros?
No hay pueblo sin iglesia, tampoco hay iglesia sin santo o sin virgen. La de Cojímar es bien modesta, la iglesia quiero decir, la Stella Maris es la patrona —virgen mariana; vela por quienes faenan en el mar, por los familiares de esos hombres cuya lidia no acontece solo entre el veril y el arrecife.
El 16 de julio en la tarde a la virgen se le baja del altar. Es la procesión, han transcurrido 137 años desde la primera peregrinación, la Santa Señora era llevada en bote al centro de la bahía o ensenada. Cuatro ángeles la acompañan, lleva al crío Jesús muy cerca del pecho. A la imagen de la Virgen, donada a la iglesia por la esposa del industrial jabonero catalán Don Joaquín Boada, la siguen feligreses de todas las edades, el Consejo Parroquial, curiosos a medio camino entre el ateísmo y la duda. También policías acompañan a la procesión, una banda de música teje de manera casi infinita la banda sonora. Al parecer el 16 de julio es día de lluvias, al menos eso dicen algunos feligreses.
Adultos, jóvenes, niños; aguardan en las aceras o marchan mezclados en la procesión —un pequeño altar en las manos, una sonrisa, la paz o el desespero en el rostro—. Son habitantes de un siglo donde la tecnología democratizó la toma de imágenes. Selfies, videos, fotos… esas imágenes luego carenarán en las redes sociales.
La tendencia en Cojímar y el mundo es la levedad, el olvido. Los motivos son varios: están las urgencias de la vida, los cercos levantados por los centros de poder, el marcado desinterés. Por lo general, el individuo común permanece lejos del verdadero empoderamiento, a no pocos cojimeros les sucede lo mismo.
¿Cuántos sabrán que, de austero pueblo de pescadores, en el siglo XIX Cojímar se convirtió en deseado balneario? Sí, hay vestigios de aquella etapa dorada.
¿Cuántos sabrán del papel de su pueblo, o de algunos de sus pobladores, cuando en 1762 los ingleses tomaron La Habana? Busqué alguna tarja donde se le advirtiera al nativo y al viajero acerca de las escaramuzas de una partida de hombres dirigidas por el Alcalde Mayor de Guanabacoa. No son abundantes ni exactos los datos en la biografía de José Antonio Gómez Bullones, dígase mejor Pepe Antonio, porque no se tiene seguridad con su nombre ni con las fechas de su nacimiento y muerte. Lo cierto fue su estrategia de enfrentamiento propia de grupos guerrilleros, las bajas causadas a los ingleses en la zona comprendida entre Cojímar y Jaruco. Sí, la neblina del ayer desplazada hacia el presente: nada encontré acerca de Pepe Antonio, sus hombres, ni de los combates ejecutados para resistir la invasión de los ingleses.
Seguí cámara en mano por sus calles. Intentaba descorrer velos. Tras el cambio de siglo Cojímar viviría un largo declive; entre otras razones, influiría en su ocaso la creación de otros balnearios en las playas del este de La Habana, la dura crisis de los 90´s, la ineficiencia y desidia de las instituciones.
Ni la terquedad de un viejo pescador y cuanto ofrece o quita el mar pudo contrarrestar el ocaso. Santiago —en la novela de Hemingway regresa con una aguja casi devorada por tiburones— es una suerte de metáfora para entender, en una oración, la historia de este pueblo. Sí, Cojímar es un pueblo venido a menos a pesar de Hemingway y su libro El viejo y el mar, porque la playa El Cachón no solo sirvió de escenario a la historia narrada, el cojimero Gregorio Fuentes (1897-2002) es parte del sustrato del personaje Santiago. Cojímar parece, sí, un pueblo vencido, pero quizá no derrotado. No poco ha podido el fantasma de Hemingway corporizado en una testa de broce en una glorieta frente al fortín, clonado además en óleos de feria donde reina el kitsch.
El fantasma del Premio Nobel pena en Cojímar, pero a la par batalla. Ese fantasma, cuya embarcación llamada El Pilar fue capitaneado por Gregorio Fuentes, apenas fondea en la memoria de los familiares de quienes lo vieron atracar o salir de pesquería desde el embarcadero en la desembocadura del río Cojímar. El ruido de sus cadenas se manifiesta, por ejemplo, en la regata que ahora sustituye al Torneo Internacional desplazado a la Marina Hemingway, demasiado lejos de Cojímar y del bolsillo de los cojimeros. Es un evento menor, lo justo para atraer a un público cautivo. El bar restaurante La Terraza es otro de los espacios de resistencia del fantasma Ernest. La Terraza aparece en la obra del escritor norteamericano; con ese detalle convencen a turistas embalados en un paquete turístico.
No pocos cojimeros han sabido hacer llevadera su vida. Se van a El Cachón. Al parecer esta playita es uno de los escenarios de ‘Los zapaticos de rosa’, poema escrito por José Martí (el Héroe Nacional o “misterio que acompaña” a la isla según el escritor José Lezama Lima). Sin embargo eligen, de la línea de costa, la parte más alejada de las contaminadas aguas del Río Cojímar.
Algunos historiadores tienen a Bath Beach (Brooklyn, Nueva York) como la playa del poema. No hay nada decidido al respecto, quizá los detalles biográficos característicos en la obra poética de Martí inclinen la balanza a favor de Cuba o de Estados Unidos. Pero los historiadores consignan la infección pulmonar y la sarcoidosis padecida por José Martí, su amistad con el abogado Don Miguel F. Viondi y Vera —propietario de casas de veraneo en Cojímar, balneario aconsejado por los especialistas para aliviar los problemas respiratorios—. De conjeturas a indicios, de la historia a la literatura; si según Lezama el Apóstol Martí es el misterio que nos acompaña, en Cojímar este otro Pepe suele ser una sumatoria de cabezas decapitadas: los mismos bustos desperdigados en parques e instituciones estatales.
Ninguno de los bañistas advertirá el paso de El Pilar con Gregorio y Ernest a bordo. El paso del yate fantasma se confundirá con el espaciado trasiego de las embarcaciones en el canal de la ensenada. La playa de El Cachón es menos literaria que inmunda; no solo recala basura, las auras lo sobrevuelan en busca de los animales sacrificados durante las ceremonias religiosas dedicadas a orishas del panteón Yoruba.
En botes o yates de poco calado los pescadores van a por las manchas de sardinas. Hay quienes con el agua al pecho apuestan por un pez de mayor tamaño, esas supuestas aguas del poema de Martí. Antes de abandonar este sitio, una nota social: el Complejo Deportivo local aprovecha ese espejo de agua en el adiestramiento de chicos interesados en los deportes de remo, a disposición tienen viejas embarcaciones.
Sí, la vida transcurre en Cojímar. Coches de caballos en este pueblo no hay, sino portales dispuestos para la venta de artesanías, óleos y fotos donde Hemingway y el Che asoman la testa. Con mucha menos presencia Fidel Castro tiene su espacio.
Puestos en el tema de la iconografía, es obligado traer al ruedo al fotógrafo Raúl Corrales (1925-2006). Nacido en la provincia Ciego de Ávila, buena parte de su vida aconteció en La Habana —para más exactitud dígase Cojímar—. Corrales concretó una obra fotográfica documental en la cual los tres caballeros, dados a la literatura y la guerra, fueron protagonistas. El espíritu de algunas de esas fotos aparece clonado en las galerías privadas o en los tenderetes.
Episodios de vida aconteciendo en la Calle Real, arteria costanera también llamada José Martí. La Calle Real desciende en picada no tan suave a un costado del otrora lujoso hotel Campoamor. En su devenir fue centro médico; el Preventorio Antituberculosis José Martí es un inmueble abandonado. Grietas, maleza, arbustos en la cubierta, ausencia de ventanas y puertas, el acero al descubierto: pensar en la belleza de la destrucción quizá como testimonio de la ineficacia.
El Preventorio va quedando atrás mientras la pendiente va menguando. Antes de arribar al mar, la madera y las tejas criollas de no pocos inmuebles resisten el embate de la naturaleza y el tiempo. El caminante verá más de una fachada transformada. La arquitectura aquí es digna si se mira el contexto interesándose en la búsqueda de vestigios de una civilización conocedora de la arquitectura y el oficio del constructor, la Quinta Pedralves o la Quinta de Don Joaquín Boada es un buen ejemplo. Ese palacete hace gala de su ocaso. Al igual que el Preventorio, sus paredes dejan a la vista el verdadero arte de edificar ruinas. Hay una casita de madera a pocos metros de la Quinta Boada; fue una verdadera joyita.
Si se retoma el sentido del recorrido, sorprenderá al caminante un inmueble de los 50 merecedor de una parada. Su diseño simula una embarcación; “El Barco”, así es comúnmente nombrado.
En Cojímar también se pesca en el malecón, en el muelle del paseo marítimo, desde la piedra viva basamento del fortín. Una zambullida aderezada con bebidas alcohólicas es posible en la playita extendida a los pies del malecón, o en el mismo muelle donde en las tardes se pesca. Si de baños de mar se trata, otra alternativa es el Claro de Luna —no digamos playa, sino paisaje lunar erosionado por los impactos de huracanes, la crisis, la desidia.
Al final de la jornada quedará en la línea costera los restos de un día de solaz: latas, papeles, envases plásticos, jabas, las hojas del tamal, y las señales del amor (fugaz), la tenacidad de la vida en familia. Crustáceos, insectos, roedores, mamíferos… los animalejos tratarán de aprovechar esos restos de una vida transcurriendo cerca del mar, una vida que los vientos de la política sacuden según la fuerza de las rachas.