Topes de Collantes, a pochi km dalla città cubana di Trinidad, è un parco naturale incastonato nella catena montuosa della Sierra del Escambray. Situato a circa 800 metri sul livello del mare, ospita una flora e una fauna di grande fascino tra sentieri e strade sterrate, meta ideale per chi ama il trekking nella natura selvaggia e incontaminata.
Ahmel Echevarría, editorialista e scrittore, nonché nostro corrispondente da Cuba, ci racconta il fascino di una escursione davvero unica.
Topes de Collantes, una rivoluzione per l’escursionismo, l’amore e il tempo libero
La prima volta che ho sentito il termine “unplugged” non potevo credere alle mie orecchie. La memoria ora mi gioca un brutto scherzo. Posso solo affermare, con certezza, che il termine si riferisse ad un concerto di MTV trasmesso dalla Televisione Cubana. Era il ventesimo secolo a L’Avana, e tra me e il concerto c’era un televisore sovietico a colori di marca Orizon.
Forse erano i Nirvana, anche se lo spirit di quanto in questo momento fluisce vagamente nella mia memoria si avvicina di più ad Eric Clapton. Per l’esattezza ad un vecchio disco di Clapton: l’andirivieni del blues, il nome di una donna – Leyla – e una certa leggerezza e freschezza nell’environment. Dall’acustica dei vecchi e tradizionali strumenti alla connessione con le emozioni.
Sì, il fluire della musica in una combinazione di colori tra il verde e il blu. Il colore di questo spirit. La tinta di questa sensazione, questo ricordo, nella memoria.
Topes de Collantes, un viaggio nell’emozione
Ho pensato di nuovo a questa combinazione di colori tra il verde e il blu ed evocarlo mi mette davanti ad un viaggio. Era piena estate.
Agosto. Cuba.
Un viaggio per il centro del paese, vale a dire, verso una delle province centrali: Santi Spíritus. Una volta arrivati lì, improvvisare, zaino in spalla, per arrivare fino al Macizo de Guamaya, la catena montuosa conosciuta come Escambray.
Volevo scalare quella montagna. Avrei proposto il mio piano a un gruppo di amici, avremmo dovuto mettere insieme tutto il necessario per andare “in guerriglia”. Scalare la montagna come un nobile e romantico commando paramilitare. Pianificare e sviluppare una sorta di rivoluzione a Topes de Collantes? Conquistare un pezzo di montagna e fondare, per una settimana e in un parco naturale, una repubblica per l’escursionismo, l’amicizia, l’amore e il tempo libero? Diciamo che sarebbe stato ottimo scappare dalla città, quanto meno nell’ultima settimana di agosto.
Questa rivoluzione non è così semplice come cucire e cantare, o cucinare e raccontare. Non solo bisogna spostarsi verso una provincia del centro del paese, ma anche arrivare alla città principale e da lì proseguire verso l’interno, verso l’alto, lungo strade dove il traffico è puro miraggio o delirium tremens. Se nella capitale cubana è difficile prendere un autobus da Centro Habana fino a Playa, il tempo che impiegano gli abitanti dell’Escambray per spostarsi in questo paesaggio è simile a quello dei viaggiatori di inizio secolo, e mi riferisco al XIX.
Io e i miei amici in quel viaggio siamo stati quasi fortunati. A fine luglio, in una biglietteria degli autobus che percorrono tratte interprovinciali, senza pagare il biglietto con sovrapprezzo, senza fare una fila inverosimile, senza doversi svegliare all’alba, abbiamo comprato i biglietti di andata e ritorno per cinque persone proprio per il posto dove volevamo arrivare: Manicaragua.
Non è stato necessario avere un piano B, saremmo arrivati a Manicaragua, uno dei punti più vicini a Topes de Collantes se hai un biglietto dell’autobus Yutong. Ma la condizione di vicinanza non era sinonimo di accessibilità.
Del viaggio con l’autobus cinese e dell’offerta gastrononica delle caffetterie conosciute dai moteleri dove obbligatoriamente ci si ferma per una sosta, ci sarebbe molto da dire. Ma qui ci interessa solo la decisione di cambiare tutto ciò che deve esssere cambiato, almeno per una settimana. Fare tabula rasa con lo stato delle cose, con la tensione del corpo. Questa è la “guerriglia”: fare una rivoluzione nello stato d’animo, all’interno del corpo.
Il torrente della sierra
Ho scalato Topes de Collantes in più di un’occasione e in più di un versante dalla fine degli anni 90. Erano i giorni in cui si poteva montare la tenda in qualsiasi radura della montagna. Ora è impossibile. Topes de Collantes è diventato un parco nazionale al cui interno ci sono diversi parchi naturali.
Negli anni 90, se ne avevi bisogno, potevi accendere un falò per cucinare e conversare durante la notte, sempre che si riuscisse a trovare legna secca, perché lì la rugiada e la pioggia inumidiscono tutto fino al midollo. In quegli anni si poteva viaggiare quasi senza pagare nulla, facendo l’auto stop. Il vitto o il pasto del guerrigliero/viaggiatore, zaino in spalla, seguiva la logica di quel periodo definito Speciale. Emulando Jorge Luis Borges, potremmo dire che la crisi era unanime: poco cibo, a malapena si poteva contare sull’energia elettrica, non c’era quasi combustibile, i trasporti funzionavano appena. Spaghetti, pane, biscotti… zucchero, limoni e sale. Non molto di più nello zaino. Il cibo in scatola era un vago ricordo o una rara avis. Le uova potevano essere una rara opzione. Tra le altre cose, l’alcool distillato negli alambicchi fatti in casa non poteva mancare.
Se uno ritorna all’Escambray è perché lì succede qualcosa di diverso, nonostante il lungo viaggio. Mai meno di 36 ore. Nonostante sia necessario percorrere non pochi chilometri di una stretta stradina che sale e scende secondo le necessità della cordigliera.
Uno torna all’Escambray nonostante sia obbligatorio trascorrere una notte alla stazione degli autobus, anche se il trasporto che si è atteso consiste di un sedile di legno o di plastica sul letto di un camion. Tutto questo fa parte dell’attraversata. Non bisogna dimenticare il violento acquazzone d’estate, che potrebbe riempire di acqua la tenda e tutto ciò che c’è nello zaino.
È forse solo il paesaggio a invitare al ritorno? Ti posso parlare del fluire dei suoni della montagna in una combinazione di colori tra il verde e il blu, del corpo sottomesso alle rigidità di un sentiero di montagna al cui interno troverai il tocororo, il todus multicolor, il carpinero fuori dalle pagine di quei libri di Scienze Naturali. Dato che descrivo potrei parlarti delle felci arborescenti, eucalipti e pini, degli alberi di guayaba bianca, il cedro, le orchidee, del platano manzano o indio1e dello sbocciare improvviso delle farfalle, quelle che nel libro di storia di Cuba vengono denominate Fiori Nazionali. Non posso non menzionare la sorgente, che da vita al torrente la cui acqua dà piacere anche più di quella del mare.
Unplugged
Se negli anni 90 del secolo scorso si poteva trascorrere una stagione intera in mezzo all’Escambray, ora il gioco ha delle regole precise. Diciamo che per il bene e il rispetto di tanta straripante naturalezza della vetta della montagna Guamuahaya nessun viaggiatore zaino in spalla/guerrigliero può ormai campeggiare. Ora è una immensità nella quale un viaggiatore troverà molti parchi naturali con sentieri segnalati, ai quali si può accedere pagando un modestissimo biglietto di ingresso che serve per il suo mantenimento: il parco Guanayara, Codina e Topes de Collantes.
Per montare la tenda c’è l’aviario, custodito da altissimi pini e dal Mosquito e la sua sposa, una coppia disposta a offrirti perfino l’aria che respiri. L’aviario è una antica voliera della quale rimangono solo le basi delle gabbie e un minuscolo abitacolo per il Mosquito e sua moglie. Questo è lo spazio dove ci si può accampare: diversi metri quadrati di prato mezzo coperto dagli aghi secchi caduti dalla pineta che fa ombra e il leggero suono del vento che si impiglia in mezzo ai rami. Lì si può lasciare tranquillamente tutto ciò che non è necessario per avventurarsi nei sentieri all’interno della sierra.
Io, che sono stato più di una volta al parco naturale Topes de Collantes, ti posso parlare del Salto del Caburní, di Vegas Grandes, de la Batata. Ma non lo potrei fare con la stessa precisione di wikipedia. L’emozione potrebbe giocarmi un brutto scherzo.
Credo che parlerei della temperatura dell’acqua sulla sponda lungo il sentiero e del salto o cascata d’acqua che, in milioni di schegge trasparenti, precipita già dal pendio, o quella che scorre lenta nella piscina naturale all’interno della caverna. Parlerei dello sforzo che esigono i percorsi in pendenza in salita e in discesa, del sudore e della sete, del cuore che batte fino al limite per portare combustibile in tutto il corpo e avere così il totale controllo, sia fisico che mentale, se di sforzo o equilibrio si tratta. O dello stupore davanti allo sbocciare dei funghi nei tronchi marci, dei colori di quel passerotto che è un uccello nazionale. E del sudore sulla pelle, così diverso, perché non è appiccicoso, non c’è sporcizia nel corpo, ma la pelle è come la stessa terra, come se espellesse acqua dai pori. E ti parlerei di tutto il verde moltiplicato sulle piante rampicanti, sull’erba che cresce ai bordi del sentiero, e della grande fronda sulla cima degli alberi.
Dei tre, cioè, del Santo del Caburní, di Vegas Grandes, della Batata, provando a descriverli, il Caburní è l’Opus Magnum, una cascata che precipita, prima gradatamente su tre piccole pozze, poi lungo un ripido canale di pietra protetto da una grande parete. La Batata è la possibilità di vivere, in miniatura, una delle peripezie di Indiana Jones: superare gli ostacoli in una caverna sotto terra, specchi di acqua sotterranea, stretti corridoi inondati che per attraversarli bisogna nuotare e scalare. Vegas Grandes offre la possibilità di toccare o vivere in un frammento di spazio reale, ma edenico, per il troppo verde che ti circonda come in una grande spaccatura verticale, il verde della collina lungo la quale corre a zig zag un torrente, che più avanti si trasforma nella cascata che nasconderà parzialmente l’entrata di una frattura della montagna. Lì, essendo quasi nulla rispetto alla vastità della terra, hai i tuoi cari, i tuoi ricordi, te.
Camminare con loro: con i tuoi amici, i ricordi, con te, cosciente del tuo corpo: della stanchezza, del dolore nei muscoli che appena si mettono in tensione in città, dei rigonfiamenti o delle escoriazioni delle ginocchia senza stare a pensare a troppe cose. Lì riuscirai a staccare la spina dallo stress, dall’inquietudine, dal disagio, dall’ira, lontano dai rumori e dallo smog. Se lo vorrai, l’ora dell’alcool sarà lo spazio di tempo per parlare del mondo, di come fare se hai l’impossibile e folle preoccupazione di volerlo sistemare.
La “guerriglia” a Topes de Collantes come una rivoluzione nello stato d’animo, la parentesi necessaria per respirare e poi ritornare alla vita così come l’avevi lasciata.
Traduzione di Alessandro Oricchio
Topes de Collantes entre el verde y el azul
La primera vez que el escuché el concepto mis cejas casi se arquearon como un par de signos de interrogación. Mi memoria ahora me juega una mala pasada. Solo puedo afirmar, con seguridad, que el término unplugged estaba relacionado con un concierto tomado de la MTV exhibido por la Televisión Cubana. Era el siglo XX, era La Habana, y entre el concierto y yo había un televisor soviético a color marca Orizon.
Quizá se tratara de una presentación de Nirvana, aunque el spirit de cuanto ahora vagamente fluye en mi memoria se acerca más a Eric Clapton. Para ser precisos, un viejo disco de Clapton: los vaivenes del blues, el nombre de una mujer —Leyla—, y cierta levedad y frescura en el environment. Desde la acústica de los viejos o tradicionales instrumentos la conexión con las emociones.
Sí, el fluir de la música en un patrón de colores entre el verde y el azul. El color de ese spirit. Los tintes de esa sensación, ese recuerdo, en la memoria.
Hacer una revolución en el estado de ánimo
He vuelto a pensar en ese patrón de colores entre el verde y el azul, evocarlo me sitúa frente a un viaje. Era pleno verano. Agosto. Cuba. Un viaje al centro del país, es decir, a una de las provincias centrales: Sancti Spíritus. Una vez allí, ingeniárselas, en plan mochilero, para arribar al Macizo de Guamaya, la cadena montañosa conocida como Escambray.
Mi plan sería alzarme en aquella sierra. Le propondría el plan a un grupo de amigos, debíamos reunir lo necesario para irnos de guerrilla. Alzarnos como un noble y romántico comando paramilitar. ¿Pensar y gestar una suerte de revolución en Topes de Collantes? ¿Tomar un trozo de montaña y fundar, a lo largo de una semana y en un parque nacional, una república para el senderismo, la amistad, el amor, el ocio? Digamos que nos vendría bien escapar de la ciudad al menos en la última semana de agosto.
Esa revolución no es asunto tan sencillo como coser y cantar, o cocer y contar. Hay que desplazarse no solo hacia una provincia al centro del país, sino llegar al municipio cabecera y de ahí hacia adentro, hacia arriba, por rutas donde el tráfico de vehículos es casi puro espejismo o delirium tremens. Si en la capital del país difícil es tomar una guagua de Centro Habana a Playa, el tempo de los pobladores del Escambray al desplazarse largas distancias en esa geografía es similar al de los viajeros de inicios de siglo, del XIX quiero
Casi tuvimos suerte mis amigos y yo en aquel viaje. A finales de julio y en una agencia de ómnibus interprovinciales, sin pagar el boleto a sobreprecio, sin hacer una inverosímil cola, sin padecer madrugadas, compramos pasajes de ida y vuelta para cinco personas con destino al lugar al que queríamos llegar: Manicaragua. No hizo falta un plan B, llegaríamos a Manicaragua, uno de los puntos más cercanos a Topes de Collantes si tienes un pasaje en una Yutong. Pero la condición de cercanía no sería sinónimo de accesibilidad.
Del viaje en la gran guagua china y los servicios gastronómicos en las cafeterías conocidas por “Conejitos” donde obligatoriamente se hace una parada, hay tela por donde cortar. Pero aquí solo importa la decisión de cambiar todo lo que debe ser cambiado al menos a lo largo y estrecho de una semana. La tábula rasa con el estado de las cosas, con las tensiones del cuerpo.
De eso trata la guerrilla: hacer una revolución en el estado de ánimo al menos cuerpo adentro.
El arrollo de la sierra
En Topes de Collantes me he alzado en más de una ocasión y en más de un lugar desde finales de los 90’s. Eran los días en que podías levantar la tienda de campaña en cualquier claro de monte. Ahora es imposible. Topes de Collantes devino parque nacional que comprende varios parques naturales.
En los 90´s, si lo necesitabas, hacías una fogata para cocinar o conversar en la noche si lograbas encontrar leña seca, porque allí rocío y lluvia humedecen todo hasta el tuétano. En aquellos años hasta podías viajar pagando apenas nada, haciendo auto stop. La dieta o la comida del guerrillero/mochilero tenía la lógica de aquel período calificado de Especial. Emulando a Jorge Luis Borges, diríamos que la crisis era unánime: poca comida, apenas se contaba con energía eléctrica, no había casi combustible, apenas funcionaba el transporte. Espaguetis, panes o galletas… azúcar, limones y sal. No mucho más en la mochila. Los alimentos en conserva eran un vago recuerdo o una rara avis. Los huevos podían ser una rara opción. Entre otras cosas, el alcohol destilado en alambiques caseros no podía faltar.
Si al Esambray más de una vez un individuo regresa, es porque algo diferente allí suele suceder a pesar de la demora en alcanzar el destino. Nunca menos de 36 horas. A pesar incluso de caminar no pocos kilómetros en una estrecha carretera que baja y asciende según lo exige la cordillera. Se vuelve al Escambray aunque sea obligatorio pasar la noche teniendo un pésimo descanso en una terminal de ómnibus, aunque el transporte esperado solo ofrezca el ahorro de la caminata sentado en un asiento de madera o plástico sobre la cama de un camión. Todo eso es parte de la travesía. No debe olvidarse el recio aguacero de verano, podrá hacer aguas la tienda de campaña y el contenido de la mochila.
¿Acaso solo el paisaje convida al regreso? Te puedo hablar del fluir de los sonidos del monte en un patrón de colores entre el verde y el azul, del cuerpo sometido a los rigores de un sendero sierra adentro donde encontrarás al tocororo, la cartacuba y al carpintero fuera de las láminas de aquellos libros de Ciencias Naturales. Puestos ya a describir, podría mencionarte los helechos arborescentes, eucaliptos y pinos, sucesivos arbustos de guayaba blanca, el cedro, las orquídeas, plátanos manzanos o indios, y el estallido de las mariposas, esas que en el libro de historia de Cuba al pie de ilustración las denominan Flor Nacional.
Tampoco puedo olvidar el manantial, dador de vida al arrollo que puede complacer, incluso, más que el mar.
Unplugged
Si en los 90’s del pasado siglo podías hacer una estación de vida temporal en medio del Escambray, ahora el juego tiene reglas. Digamos que por el bien de tanta desbordada naturaleza del macizo montañoso Guamuahaya ya ningún mochilero/guerrillero puede campear por tu respeto. Ahora es una inmensidad donde el viajero encontrará varios parques naturales con senderos señalizados, a los que se accede mediando un modestísimo pago para sustentar su mantenimiento: el Parque Guanayara, Codina y Topes de Collantes.
Para montar la tienda de campaña está El aviario, custodiado por altísimos pinos y por El Mosquito y su esposa, un matrimonio dispuesto a brindarte hasta el aire que respiran.
El aviario es una antigua pajarera de la cual solo quedan las bases de las jaulas y un minúsculo habitáculo para El Mosquito y su mujer. Ese es el espacio de acampada: varios metros cuadrados de césped a medio cubrir por las agujas secas caídas del pinar que da sombra y leve sonido al enredarse la brisa en las ramas. Puedes allí dejar con toda confianza cuanto creas innecesario para aventurarte en los senderos sierra adentro.
Yo, que he viajado más de una vez al parque natural Topes de Collantes, te puedo hablar del Salto del Caburní, de Vegas Grandes, de la Batata. Pero no podría hacerlo con la exactitud de Wikipedia
La emoción podría jugarme una mala pasada.
Creo que hablaría de la temperatura del agua en un manantial a la orilla del camino, o la del salto o cascada que, en millones de esquirlas transparentes, se precipita ladera abajo, o la que fluye lenta en la piscina natural al interior de una caverna. También repararía en cuanto exigen los senderos cuesta arriba o loma abajo, del sudor y la sed, del corazón bombeando al límite para llevar el combustible a todo el cuerpo y así tener el control total, tanto físico como mental, si de esfuerzo o equilibrio se trata. O del asombro ante el estallido de hongos en el tronco podrido, de los colores de ese pajarito que es el ave nacional. Y del sudor en la piel, tan diferente, porque no es pegajoso, no hay lo que se dice suciedad en el cuerpo, sino la piel como la tierra misma, como si manara agua de los poros. Y te hablaría de todo el verde multiplicado en enredaderas, en la hierba baja a la orilla del sendero, o la grande fronda en la copa de los árboles.
De los tres, es decir, del Salto del Caburní, de Vegas Grandes, de la Batata, si intentáramos una descripción, el Caburní es el Opus Magnum, un salto de agua que se precipita, de manera sucesiva tras breves pozas, por una empinada canal de piedra custodiada por una inmensa pared. La Batata es la posibilidad de vivir, en pequeña escala, una de las peripecias de Indiana Jones cuando se trata de eludir obstáculos en una galería bajo tierra, espejos de agua subterránea, estrechos corredores inundados que para atravesarlos debes nadar y escalar. Vegas Grandes sería la posibilidad de tocar o vivir un fragmento de un espacio real, pero de carácter edénico, por el demasiado verdor que de súbito cae, como en una grande furnia, ese verde de la ladera por donde zigzaguea un arroyo, más adelante convertido en el salto de agua que ocultará a medias la entrada de un socavón en la montaña.
Allí, siendo apenas nada en la vastedad de la sierra, tienes a los tuyos, a tus recuerdos, a ti. Andar con ellos: con tus amigos, los recuerdos, contigo, consciente de tu cuerpo: del cansancio, del dolor en los músculos que apenas se ponen en tensión en la ciudad, de la ampolla o el rasponazo en la rodilla sin que demasiadas cosas importen. Allí estarás desconectado de tanto motivo de estrés, desasosiego, inconformidad, ira, desenchufado de los ruidos y el smog. Si acaso, la hora del alcohol será el espacio de tiempo donde hablarás del mundo, de cómo hacer si te propones el imposible y loco afán de arreglarlo.
La guerrilla en Topes de Collantes como la revolución en el estado de ánimo, el paréntesis necesario para tomar un respiro y luego retomar la vida tal cual la dejaste.