I vicini, di Fausto Paravidino, con Fausto Paravidino e Iris Fusetti.
Si conclude al Piccolo Eliseo di Roma la stagione teatrale della pièce I vicini di Fausto Paravidino.
Autore, regista ed attore di teatro, Paravidino ha conquistato il premio Ubu come drammaturgo esordiente nel 2001, e si è fatto conoscere dal pubblico partecipando in qualità di attore alla serie Romanzo Criminale (2008), ma ha anche scritto, diretto ed interpretato il film Texas (2005), presentato al Festival di Venezia.
Attore dalla fisicità minuta, Paravidino fa della voce il suo punto di forza. Ha un timbro molto peculiare, qualcosa che comunemente non si associa alla bella recitazione ma piuttosto alla caricatura, sembra quasi una voce camuffata la sua, ma riesce, proprio in virtù di questa diversità, a dare più valore alle parole, a farle ascoltare meglio. Anche la cadenza oscilla tra l’artificio dello straniamento e la naturalezza dialettale, ma senza mai perdere credibilità, risultato troppo spesso trascurato dagli attori, tanto di teatro quanto di cinema.
I vicini, i fantasmi di una coppia
Nonostante qualche momento di ilarità l’atmosfera de I vicini è inquietante. Non si tratta però dell’elemento soprannaturale, che l’autore ha voluto evidenziare per dare alla pièce una connotazione di genere, troppo marcata in alcuni momenti. Non sono le improvvise apparizioni del fantasma di un’anziana signora a spaventare, ma piuttosto l’incursione, nell’apparente tranquillità del menage di una coppia, di un’altra coppia – i vicini, quelli della porta accanto – che rappresenta quello che è radicalmente altro da loro, e da noi. I vicini, che del fantasma sono l’incarnazione, bussano alla porta dei protagonisti (Paravidino e Iris Fusetti) costringendoli a confrontarsi con i loro bisogni. La dinamica interno/esterno, bene evidenziata attraverso la reiterata apertura e sonora chiusura della porta di casa dei protagonisti, corrisponde all’atteggiamento duplice della coppia: paura dell’esterno, che può pericolosamente incrinare l’equilibrio precario della loro relazione a due, e allo stesso tempo desiderio di inclusione, di trovare nell’altro una via di fuga da una quotidianità claustrofobica, che fa esistere la coppia ma limita fortemente l’espressione individuale.
È Greta la prima a cedere all’attrazione per l’ignoto, è lei, esasperata dalla continua pretesa di normalità, a farsi sedurre dai vicini, trascinando il suo compagno in un percorso di scoperta che passa soprattutto attraverso l’erotismo e le perversioni, reali o sognate che siano, e che ricorda l’esperienza vissuta dai protagonisti di Eyes Wide Shut. Lui inizialmente reagisce con smarrimento di fronte alla carica surreale della situazione, ma poi si presta al gioco, una sorta di terapia d’urto che, attraverso il maltrattamento da parte dei vicini – le sculacciate della moglie, il riuscitissimo monologo del marito – lo mette in contatto con una distribuzione disfunzionale del maschile e del femminile all’interno della sua relazione. Ma ai primi segnali di cambiamento, Greta non sembra entusiasta della novità: come a dire, talvolta la coppia trova la sua ragione di esistere proprio in un bisogno reciproco, e non si può mai sapere cosa accadrà se ad aprirsi all’esterno è solo uno dei due.
Io ero cambiata, ripete l’anziana signora nel raccontare, in un monologo finale non propriamente riuscito, il ritorno dal fronte del marito soldato. Eppure la relazione tra i due è sopravvissuta, trincerandosi all’interno di se stessa, senza più aprire la porta a nessuno per evitare di guardare fuori.
Allora forse l’intervento del fantasma non è da considerarsi una minaccia, bensì una rivelazione per Greta ed il suo compagno. Il cambiamento può fare paura, ma quali che siano le sue conseguenze è sempre portatore di valori positivi. Al contrario la paura del cambiamento può trasformare un individuo nel fantasma di se stesso.