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La “Terza Via” di Adriano Olivetti

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Adriano Olivetti
L'imprenditore, intellettuale ed editore Adriano Olivetti

Non è certo impresa facile riassumere in poche righe il profilo personale e culturale di una delle figure più illustri dell’Italia del dopoguerra come Adriano Olivetti. Soprattutto negli ultimi mesi, si sta assistendo a una fioritura di studi critici e di libri divulgativi su questo straordinario imprenditore, editore e autore di importanti libri come Democrazia senza partiti, L’ordine politico delle Comunità dello Stato secondo le leggi dello spirito e Società, Stato, Comunità. Per un’economia e politica comunitaria.

Adriano Olivetti
Il sociologo Franco Ferrarotti

Come ha recentemente sottolineato Franco Ferrarotti (in foto) in un suo recente contributo, la “concreta utopia” di Adriano Olivetti “si colloca tutta al di là delle miserabili prospettive del paternalismo padronale dell’epoca, tipico di economie chiuse e arcaiche, e delle discriminazioni avvilenti, che pur vigono ancora in molte aziende italiane. Ad Adriano Olivetti, più che comandare, premeva comprendere. Uno dei punti fondamentali del suo pensiero fu appunto dato dal tentativo di umanizzare il potere economico e politico, sciogliendo il dilemma di fondo del nostro tempo, che ci divide fra il bisogno di libertà individuale e le esigenze di giustizia collettiva”.

Adriano Olivetti e la sua “terza via”

La prima guerra mondiale e gli anni del fascismo

Adriano Olivetti nasce a Ivrea l’11 aprile 1901. Nel 1924 si laurea in ingegneria al Politecnico di Torino e due anni dopo inizia a lavorare nell’azienda del padre Camillo. Sono gli anni in cui il fascismo prende il potere in Italia, il giovane Adriano collabora con la rivista Tempi Nuovi e risente dell’influenza culturale della famiglia Levi. In Lessico famigliare Natalia Levi Ginzburg lo descrive in questa maniera: “Fra questi amici ce n’era uno che si chiamava Olivetti […] Adriano aveva allora la barba, una barba incolta e ricciuta, di un colore fulvo; aveva lunghi capelli biondo fulvi, che si arricciolavano sulla nuca ed era grasso e pallido […] Aveva un’aria molto malinconica […] Era timido e silenzioso, ma quando parlava, parlava allora a lungo e a voce bassissima, e diceva cose confuse ed oscure, fissando il vuoto con i piccoli occhi celesti, che erano insieme freddi e sognanti”. Nel 1925 Adriano Olivetti parte per gli Stati Uniti, visitando diverse fabbriche americane e dove ne studia l’organizzazione del lavoro. Ne ricaverà una lezione fondamentale e cioè che “occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri”. Ritornato in Italia, mette a punto le idee maturate negli Stati Uniti al fine di modernizzare l’azienda paterna, applicando “l’organizzazione decentrata del personale, la direzione per funzioni, la razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio e lo sviluppo della rete commerciale in Italia e all’estero”. Parallelamente allo spiccato “riformismo aziendale“, elabora i suoi primi progetti di produzione industriale come la prima macchina per scrivere portatile, la MP1.

Diventato Direttore generale dell’Olivetti nel 1932, nello stesso anno sposa Paola Levi con la quale si trasferisce a Milano. Nella città meneghina viene particolarmente influenzato dal suo ambiente culturale, specie da Luigi Figini e Gino Pollini, e dove si interessa a discipline come l’architettura, l’urbanistica e la sociologia. Durante gli anni ’30, ha frequenti contatti con il regime fascista e con Giuseppe Bottai pur non aderendone esplicitamente. Quando poi Mussolini muta le sue preferenze architettoniche dal razionalismo allo stile della Roma Imperiale, Olivetti si allontana definitivamente dal regime fascista. L’attivismo di Adriano Olivetti in azienda, tuttavia, non si ferma con l’attuazione della nuova organizzazione del lavoro ma approfondisce le sue “riforme” introducendo nel 1931 il Servizio Pubblicità mentre l’anno dopo istituisce l’Ufficio Organizzazione del Personale.

Adriano Olivetti
Adriano Olivetti in una foto degli anni ’30

Nel 1938 diventa Presidente dell’Olivetti completando così il suo percorso di crescita professionale e personale dentro l’azienda di famiglia, sempre tenendo presente che la sua azione riformatrice s’ispira a una sapiente gestione del personale considerato da un punto di vista umano prima ancora che come risorsa produttiva. Come scrive a tale proposito Franco Ferrarotti, “la costruzione olivettiana fa perno […] su un triplice fondamento, vale a dire sull’espressione democratica di base, sulle forza del lavoro e sulla cultura. È interessante notare che alla cultura, in un’epoca in cui si discuteva stancamente e spesso a vuoto sul rapporto intellettuali-società, viene assegnato un ruolo specifico e determinante”.

La seconda guerra mondiale e il Movimento Comunità

Lo scoppio del secondo conflitto mondiale e l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940 sono un momento difficile per Adriano Olivetti. Riparato in Svizzera, conosce Altiero Spinelli e scrive “L’ordine politico delle comunità” (1945). In esso, Olivetti elabora un disegno federalista dello Stato basato sulle comunità territoriali, cercando una sintesi tra la cultura socialista e quella liberale e tentando di inserirsi nel gioco politico creando un movimento capace di inserirsi tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. Sempre Franco Ferrarotti sottolinea come “Olivetti reca il contributo essenziale di un riformismo sociale tecnicamente provveduto, in cui il socialismo stesso cessa di essere una fatalità cronologica o la vana promessa dei profeti storicistici per divenire un compito, politico e morale, che l’uomo assegna a sé stesso”. Finita la guerra, riprende le redini dell’azienda di famiglia, ricostruendola e rinnovandola profondamente applicando nuovamente i principi di organizzazione del lavoro già precedentemente sperimentati e improntandoli ancor di più sulla solidarietà sociale e sulla sintesi virtuosa tra il sapere tecnico-scientifico e la cultura umanistica. Nel 1948 istituisce in azienda il Consiglio di Gestione, un organismo consultivo concernente la destinazione di finanziamenti per quanto riguarda i servizi sociali e l’assistenza mentre nel 1956 abbassa l’orario di lavoro da 48 a 45 ore settimanali mantenendo inalterato il salario. Rinnova il settore grafica e design dei prodotti ingaggiando personaggi come Marcello Nizzoli, Giovanni Pintori e Ettore Sottsass. A cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, la Olivetti immette sul mercato dei veri e propri “gioielli” per la bellezza del design e per la qualità della tecnologia come la macchina per scrivere Lexikon 80, la portatile Lettera 22 e la calcolatrice Divisumma 24.

Adriano Olivetti apre poi nuovi impianti di produzione: Pozzuoli e Agliè (1955), San Bernardo di Ivrea (1956) e Caluso (1957). All’estero, è particolarmente attivo a San Paolo in Brasile (1959) e, sensibile ai progressi della nascente tecnologia elettronica, apre un laboratorio di ricerche per la progettazione e lo sviluppo dei calcolatori elettronici a New Canaan negli USA (1952). Nel 1955 inaugura poi un Laboratorio di ricerche elettroniche a Pisa e nel 1957 la sinergia con Telettra da vita alla Società Generale Semiconduttori (SGS) che introdurrà sul mercato nel 1959 l’Elea 9003, il primo calcolatore elettronico italiano. Nel 1956, infine, corona il suo impegno politico diventando Sindaco di Ivrea e, due anni dopo, deputato con il Movimento Comunità. Adriano Olivetti muore improvvisamente il 27 febbraio 1960 a causa di una trombosi cerebrale lasciando un’azienda presente a livello internazionale e che impiega ben 36.000 dipendenti. Dopo la sua morte, nel 1962, nasce la Fondazione Adriano Olivetti con l’obiettivo di conservare e promuovere la sua opera civile, sociale e politica.

La “Terza Via” di Adriano Olivetti

Adriano Olivetti sperimentò e realizzò un’esperienza aziendale e culturale originale per quel periodo storico, specie in un momento così delicato di forte contrapposizione ideologica tra capitalismo e comunismo. Olivetti credeva in un possibile equilibrio tra solidarietà sociale e profitto privato concependo la stessa organizzazione del lavoro come improntata a un’idea di benessere generale. Soprattutto gli operai lavoravano in condizioni migliori rispetto ad altre realtà industriali italiane dell’epoca: alti salari, asili nido aziendali e abitazioni vicine alla fabbrica. All’interno della Olivetti, i dipendenti potevano usufruire di biblioteche, ascoltare musica e assistere a dibattiti culturali. A tale proposito, l’azienda ospitava scrittori, disegnatori e poeti in quanto Adriano Olivetti era persuaso che la fabbrica non “vivesse” di soli tecnici e operai ma anche di artisti in grado di valorizzare il lavoro con la creatività e la sensibilità. Una visione del lavoro molto diversa dal mondo degli amministratori delegati di oggi dove “il CEO non legge. O legge poco. Non ha tempo. Pianifica. Non sa. Intuisce. Decide. Nessuna esitazione fra pensiero e decisione. Semplicità. Tensione verso lo scopo. Olivetti vede per tempo e con chiarezza i pericoli della speculazione finanziaria, che è alla fonte dell’attuale crisi economica planetaria”.

Adriano Olivetti
Laura Olivetti

Così la figlia di Adriano Olivetti, Laura (in foto), ricorda le differenze tra la visione imprenditoriale del padre e quella di altri importanti industriali piemontesi come gli Agnelli: “Gli Olivetti fanno proprio un percorso diverso: il punto fondamentale è che la loro cultura scientifica e tecnica li metteva in grado di disegnare gli oggetti che poi producevano. Gli Agnelli hanno avuto alla Fiat ottimi tecnici e grandi progettisti, mentre mio nonno e anche mio padre – sebbene lui meno di altri – possedevano la tecnica manuale per progettare essi stessi. Al di là di tante cose che si dicono, la vera differenza è nel background dell’Ottocento. Erano proprio due matrici culturali diverse”. Quella di Adriano Olivetti resta una figura isolata nel campo dell’imprenditoria nazionale. Per dirla con le parole di Franco Ferrarotti, Olivetti “era un uomo di cultura che riteneva indispensabile e moralmente necessario mettere alla prova, sul banco della pratica quotidiana, le sue idee. Era un uomo di cultura che non poteva limitarsi a scrivere libri o a tenere discorsi. In questo senso era forse un utopista, ma nel senso classico, ossia un riformatore. L’elemento utopistico era in lui autentica anticipazione ideale; valeva come lievito dinamico, come punto di riferimento nell’azione politica ed economica quotidiana – quella stessa azione che all’osservatore distratto poteva apparire come stravagante o incoerente – e diventava motivo di insoddisfazione e di rifiuto morale dello status quo. In altre parole, la figura di Olivetti era quella di un autentico riformatore, per temperamento e per intima convinzione, intellettuale e morale”.