“Sto diventando il maestro di un nuovo genere letterario, il genere del silenzio”. Così Isaak Babel descrisse la sua condizione intellettuale durante il primo congresso dell’Unione degli Scrittori Sovietici celebrato nel 1934. Il grande scrittore ucraino non poteva sintetizzare meglio quella che stava diventando la situazione della libertà d’espressione sotto il regime comunista sovietico. Considerato uno dei precursori del minimalismo prima ancora di Raymond Carver, Babel avrebbe, da lì a poco, smesso sia di scrivere che di vivere e il suo capolavoro, I Racconti di Odessa (Voland, 2012), rappresenta il momento culturalmente più alto. A tale proposito, Franco Cordelli ha scritto come sia stato “leggendario il suo sforzo per ridurre al minimo ogni suo scritto” mentre Ernest Hemingway giudicò Babel il più bravo di tutti, suo maestro in brevità e vitalismo. Il progressivo ritiro dello scrittore di Odessa dalle scene culturali sovietiche durante gli anni ’30, quello che viene definito il suo personale calvario, rappresenta ancora oggi la sua grandezza intellettuale.
Isaak Babel, una vita travagliata
Babel, vita e opere
Isaak Babel (1894 – 1940) è stato un giornalista e scrittore ucraino. Nacque a Odessa da una famiglia di origini ebraiche e visse i suoi primi anni di vita nel travagliato periodo del pogrom del 1905. Tentò di iscriversi alla “Scuola Commerciale Nicola I” cercando di rientrare nella quota riservata agli studenti ebrei ma, sebbene superò brillantemente tutti gli esami, gli fu preferito un altro ragazzo. Studiò in casa per un anno intero, imparando il Talmud, la musica e la lingua e la letteratura francese. Successivamente, si iscrisse all’Istituto di Finanza e Affari di Kiev dove conseguì la laurea nel 1915 trasferendosi poi a Pietrogrado. Qui fece la conoscenza dello scrittore russo Maksim Gorkij, combatté durante la Guerra Civile Russa e collaborò con la polizia politica, la Čeka, come traduttore.
Nel 1920 seguì, in qualità d’inviato giornalistico, l’armata del Feldmaresciallo Budënnyj partecipando così alla campagna di Polonia. Babel descrisse con molta efficacia la brutalità della guerra e questo gli attirò le antipatie dello stesso Budënnyj. Tornò a Odessa e iniziò a scrivere dei brevi racconti, primo embrione de I Racconti di Odessa, ambientati nel ghetto ebraico della Moldavanka di cui ne descrisse vicende e personaggi. Negli anni ’30 Babel intraprese una serie di viaggi in Ucraina e assistette con crescente preoccupazione al consolidamento del regime di Stalin e alla collettivizzazione nell’URSS. A causa della pressione dello stesso dittatore comunista sulla cultura sovietica, Babel si ritrovò sempre più ai margini della vita letteraria e costretto progressivamente al silenzio. Fu arrestato nel 1939 con l’accusa di spionaggio e, dopo un processo farsa, venne fucilato il 27 gennaio 1940 nella prigione di Butyrka.
I Racconti di Odessa, il capolavoro di Isaak Babel
I Racconti di Odessa sono un ciclo di racconti brevi redatti tra il 1923 e il 1932. Nelle pagine del libro di Babel i protagonisti sono banditi, commercianti, allevatori, bottegai, trafficanti, ricche e facoltose personalità altrettanto quanto gli umili e poveri personaggi del ghetto ebraico di Moldavanka: “Era piccolo e orribile, quel mondo, e io chiusi l’occhio per non vederlo; per non sentirlo, m’appiattii contro la terra rassicurante e silenziosa; una terra che non somigliava più alla nostra vita, alle nostre attese, alle nostre paure”. Ma, senza dubbio, è proprio la città ucraina sul Mar Nero a rimanere sullo sfondo di ogni racconto, descritta in ogni particolare dalla penna di Isaak Babel: “Odessa, crocevia di popoli, di lingue, di culture, di costumi, la ‘Marsiglia russa’”. Il porto e il mare, innanzitutto. Proprio i moli e le banchine sono i luoghi privilegiati dove giungono profumi e odori da tutte le parti del mondo, aromi in cui “c’era odore di molti mari, i sapori e le essenze di Marsiglia, caffè in grani, malaga di Lisbona, pepe di Caienna”.
E poi il mare su cui si affaccia Odessa, quel Mar Nero che illumina la vita del quartiere originario di Babel, la Moldavanka, in cui gravitano tutta una serie di personaggi e dove lo scrittore ucraino, non senza nostalgia nel ripensarci, narra delle loro fortune e sfortune: “Ma ora, ricordandomi di quegli anni dolorosi, vi ritrovo il principio dei mali che mi tormentano e l’origine della mia vecchiaia precoce”. Come alcuni autorevoli critici letterari hanno evidenziato, si tratta di una vera e propria “epopea burlesca, parodistica di un mondo alla ‘rovescia’, visto attraverso gli occhi ammirativi e nostalgici dell’infanzia, dove banditi-gentleman dagli abiti sgargianti, ‘autentici aristocratici della Moldavanka’ diventano i protagonisti e compiono le loro gesta – estorsioni, rapine, incendi, sparatorie – spadroneggiando sulla città in un’atmosfera di bonarietà giocosa, gioiosa, surreale”. Il quartiere ebraico diventa così un piccolo universo formato da bottegai, locandiere, lattaie, artigiani, venditori di colombi, di carrettieri e dove la vita scorre attiva nei cortili, nelle piazze e nelle strade. Un mondo che, seppur costretto a vivere progressivamente nel silenzio, è riuscito a sopravvivere al controllo del regime sovietico (emblematica, nelle pagine del libro, la fine del vecchio capobanda From Grač a opera della polizia politica sovietica) e ad arrivare ai nostri giorni in tutta la sua straordinaria semplicità.