Si è tenuta lo scorso 11 maggio presso la Libreria Arion di Montecitorio la presentazione del libro di Sofia Ventura Renzi & Co. Il racconto dell’era nuova (Rubbettino, 2015). Insieme all’autrice, Professore associato di Scienza Politica e di Leadership e Comunicazione Politica all’Università di Bologna, ne hanno discusso Marco Damilano, giornalista de L’Espresso e Gianfranco Pasquino, Professore di Scienza Politica.
Lo “storytelling” renziano
L’analisi della comunicazione di Renzi
Tramite una minuziosa analisi dei numerosi interventi pubblici di Matteo Renzi, inclusa la famosa partecipazione ad Amici, e delle interviste concesse ai mass media, comprese quelle a Vanity Fair e Chi, nonché dei suoi post su Facebook e dei suoi “cinguettii” su Twitter, la Ventura ha analizzato compiutamente quella che può essere definita la narrazione dell’Italia da parte dell’attuale Primo Ministro. Riconoscendo la portata innovatrice del suo messaggio, osservando come Renzi abbia rappresentato senza dubbio una rottura con la cultura tradizionale di gran parte della sinistra italiana avvicinandola alle grandi democrazie contemporanee come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o la Francia, la politologa bolognese ha spiegato come “la motivazione principale che mi ha spinta a scrivere questo libro risiede nel mio interesse verso la leadership in tutte le sue forme. Da quando ho cominciato a occuparmi di Renzi, ho avvertito una crescente distanza tra il Renzi dei primi tempi, della sfida della Leopolda, e il Renzi Primo Ministro. Direi che, da questo punto di vista, la parola chiave è il ‘meccanismo’ della narrazione renziana, una sorta di ‘ideologia’ declinata nel senso di una ‘favola’, di un ‘mito’ presente sin dagli esordi”.
Facendo ricorso a elementi di psicologia collettiva e di comunicazione di massa, lo schema renziano non è particolarmente originale riproponendo la tradizionale dicotomia delle favole con i “buoni” contrapposti ai “cattivi” o, per essere attuali, i “gufi” escludendo, in tal modo, qualsiasi potenziale alternativa culturale da questa rigida contrapposizione. Così alla “Ditta” di Bersani, vecchia e stantia, si pone in antitesi lo “Stil Novo” di Renzi, giovane e dinamico, e alla democrazia dei partiti si sostituisce la democrazia del pubblico, saltando tutte le necessarie mediazioni di una società complessa e bypassando i corpi intermedi come sindacati e associazioni di categoria. D’altro canto, la comunicazione di Renzi si rivolge direttamente alle persone non di certo agli altri attori della società italiana cercando, così, di entrare in connessione immediata con gli umori popolari. Secondo Marco Damilano “il merito principale di queste pagine è di aver analizzato compiutamente il contesto comunicativo di Renzi mediante l’adozione della tecnica della favola e delle sue caratteristiche narrative: l’incantesimo paralizzante in cui era sprofondata l’Italia, l’arrivo del gruppo di eroi giunti per cambiarla e i nemici da combattere, individuati tra tutti coloro, tecnocrati, professoroni, classe politica precedente e gufi a vario titolo, che non rientrano in questo schema. E la missione di Renzi&Co, ossia il ‘cambiamento’ declinato come mutamento di ritmo e di umore del Paese, viene ripetuta in maniera talmente frenetica da apparire un’ossessione. E qui ben si capisce l’insistenza su parole come domani, futuro e prossimo”. Anche Gianfranco Pasquino ha rimarcato la validità del libro della Ventura: “Nell’analisi presentata in queste pagine, la narrazione individuale portata avanti da Renzi sembra incrociare il racconto collettivo del Paese ma a me pare che, più che di incontro, si debba parlare di tentativo di plasmare il collettivo secondo la visione dell’individuale. Da qui i continui richiami di Renzi alla coincidenza tra il suo operato e l’Italia specie quando afferma che, se ce la fa lui ce la fa anche il Paese”. E a proposito del tema della “narrazione”, la politologa bolognese ha voluto precisare un concetto e cioè che “quello di Renzi è un racconto estremamente personalizzato in quanto il narratore di questa ‘fiaba’ è anche il protagonista e l’eroe allo stesso tempo. E qui entra in gioco un elemento psicologico particolarmente importante: l’ossessività nel ripetere certe parole come sogno, futuro, cambiamento come a segnare una profonda frattura tra un prima, un tempo non meglio specificato e analizzato, e un poi, dominato dalla sua figura creatrice e realizzatrice”.
La “fiaba” di Renzi tra comprimari e giornalisti
Tuttavia, affinché si realizzi questa personale narrazione, sono necessarie delle figure che supportino tale raffigurazione, diverse nelle loro modalità rappresentative ma convergenti nell’obiettivo di avvalorare lo “storytelling” renziano. Ecco allora Maria Elena Boschi, “interprete e custode” del renzismo, rassicurante e persuasiva con i suoi “ovviamente”, “chiaramente” e “ragionevolmente”; Luca Lotti, vera e propria “eminenza grigia” del sistema del Premier, pochi selfie e molto potere; Lorenzo Guerini, “segretario ombra” e attento agli aspetti complessi del partito PD; Deborah Serracchianni, la portavoce della “rigida difesa della missione renziana”; Matteo Orfini, acquisito all’attuale maggioranza del Partito ed ex d’alemiano; e, infine, Alessandra “Lady Like” Moretti, ex portavoce di Bersani e candidata Governatore in Veneto.
Ma qual è il compito delle “spalle” del Premier? “Gli stessi attori comprimari di questa ‘favola’ – ha sottolineato la Ventura – come la Boschi, la Serracchiani, la Madia o il vicesegretario Guerini, confermano in maniera ripetuta questo semplice schema narrativo con l’aggiunta che, a differenza di altri contesti europei o mondiali, non hanno praticamente una vita privata nel tentativo di utilizzare tutti gli spazi ‘popolari’ per diffondere la narrazione renziana. La stessa difficoltà che Renzi ha con i media e la stampa riflette, in realtà, il tentativo di preservare e mantenere inalterata la vulgata del suo storytelling da possibili inquinamenti dall’esterno”. E qui la politologa bolognese sottolinea un aspetto particolarmente interessante e cioè il non facile rapporto con la stampa e i giornali da parte di Renzi. Spesso il Premier dà l’impressione di non rispondere alle domande più incalzanti facendo finta di aver risposto o, più semplicemente, ignorandole cercando di riportare la traiettoria comunicativa nel binario della narrazione della sua “missione” per cambiare l’Italia. Si tratta di un nodo molto complicato, quello con i mezzi di informazione, specie se pensiamo alle recenti parole di Ferruccio De Bortoli che l’ha definito un “maleducato di talento”. I giornalisti non sono argomento semplice in quanto essi rappresentano certamente un elemento essenziale per la riuscita della sua “favola” ma, al tempo stesso, non sono apprezzati se il loro pensiero prende una strada diversa dalla trama che lui ha in mente. E qui Marco Damilano ha messo in evidenza un aspetto molto interessante: “Sotto questo profilo, Renzi ha la pretesa di raccontare egli stesso la favola, l’auto-rappresentazione del Paese. E qui si inserisce il complesso rapporto con i giornalisti in quanto strumenti importanti per la diffusione della sua ‘vision’ ma potenziali pietre d’inciampo se non raccontano i fatti nel modo in cui le pensa Renzi stesso”.
La realtà, il vero “nemico” di Renzi
È possibile che la stella di Renzi vada incontro a un precoce appannamento? Nessuno può saperlo e nessuno può minimamente ipotizzarlo anche se un potenziale appannamento della sua immagine potrebbe essere fisiologico, specie nel tempo dei media divoratori di personaggi e storie. Tuttavia, nessuno potrà fare a meno di ammettere la sua carica di novità, un dinamismo che ha “rottamato” non solo diversi politici della Seconda Repubblica ma, anche e soprattutto, determinati metodi di fare politica della democrazia italiana. E uno dei segreti del suo successo, secondo Gianfranco Pasquino, risiede nel suo parlare in maniera diretta agli italiani: “Secondo la Ventura, Renzi, in fin dei conti, fa un discorso molto semplice in grado di farsi capire agevolmente anche dall’uomo della strada creando una corrispondenza tra le cose che dice e le aspettative che poi si creano. Ciò che sembra assente, però, è la parvenza di una qualsiasi forma di dubbio”. Il suo reale banco di prova, quindi, sarà soprattutto nell’evitare la percezione, nell’immaginario dell’italiano medio, di un distacco tra ciò che si sta “narrando” da quello che, nei fatti, si andrà realizzando. “Un possibile limite del ‘renzismo’ – ha messo in evidenza Damilano – è quanto potrà durare la presa che ha sul Paese e, se e quando, dovrà fare i conti con la realtà oggettiva dei fatti. Il suo più profondo timore consiste non tanto nella sconfitta elettorale o nelle manovre parlamentari del ‘Palazzo’ ma nell’insuccesso culturale della sua narrazione”. Sarà questa la prova del nove dello “storytelling” di Renzi con il conseguente rischio, ha notato in conclusione Sofia Ventura, di un “affievolirsi dell’efficacia della comunicazione renziana, in un difficile rapporto tra narrazione e realtà”, cercando di non rimanere prigioniero della storia che egli stesso ha costruito.