Save the children: 40% scuole italiane senza servizio mensa
mercoledì 28 ottobre 2015
Nelle scuole in cui c’è, troppe differenze nei criteri di accesso
Roma, 28 ott. (askanews) – La mensa non è presente in tutte le scuole italiane: il 40% degli istituti principali ne è sprovvisto. Percentuale che sale in alcune regioni del Sud, per esempio in Puglia (53%), Campania (51%), Sicilia (49%) mentre al Nord, la mensa manca in circa un terzo delle istituzioni scolastiche principali (per esempio in Veneto, 32%; Liguria, 29%; Lombardia, 27%; Piemonte, 27%). Ma anche laddove c’è, il servizio di refezione scolastica presenta grandi differenze sia per ciò che riguarda i criteri di accesso sia dal punto di vista della qualità, documenta il nuovo rapporto di Save the Children “(Non)Tutti a mensa!”.
Diffuso oggi, per il terzo anno consecutivo, dall’Organizzazione internazionale indipendente dedicata dal 1919 a salvare i bambini e difendere i loro diritti, nell’ambito della campagna “Illuminiamo il Futuro”, il report prende in esame le mense delle scuole primarie nei 45 Comuni capoluogo di provincia con più di
100.000 abitanti[2], sia rispetto alle condizioni per usufruirne – tariffe, esenzioni, riduzioni, trattamento in caso di morosità – che agli standard qualitativi e include anche le opinioni di cento bambini e i disegni sulla loro mensa, di 6 città (Torino, Milano, Napoli, Bari, Crotone, Scalea).In più della metà (25) dei
comuni monitorati, l’accesso a rette agevolate e a riduzioni è limitato ai soli residenti. In 6 comuni non è prevista alcuna esenzione dal pagamento neanche per le
famiglie più povere. 8 comuni escludono il bambino dal servizio in caso di insolvenza dei genitori.Per quanto riguarda la qualità delle mense, dalla ricerca
effettuata da Save the Children emerge che nel 90% dei casi il servizio è affidato a ditte esterne di ristorazione e per il 65% dei comuni il servizio viene effettuato esclusivamente con pasti trasportati da cucine esterne. Molti i comuni del Sud Italia (ad eccezione di Cagliari) che usufruiscono esclusivamente di servizi
di refezione con pasti trasportati dall’esterno.Inoltre, anche se tutti i comuni monitorati dichiarano di aver recepito le direttive delle Linee Guida del Ministero della Salute per quanto riguarda la predisposizione dei menù sulla base dei LARN (Livelli di Assunzione giornalieri Raccomandati di Nutrienti) e la previsione di controlli esterni, non tutti hanno attivato la Commissione Mensa in tutte le scuole, fondamentale per coinvolgere anche le famiglie sul tema dell’educazione
alimentare.
Scendendo nel dettaglio delle tariffe applicate nei 45 comuni capoluogo monitorati, variano notevolmente, con rette minime che vanno dagli 0,35 euro al
giorno di Salerno ai 5,5 di Bergamo e tariffe massime che vanno dai 2,3 euro di Catania ai 7,7 euro di Ferrara. Considerando, per esempio, una famiglia di classe “medio-alta” con ISEE 25.000 euro e un figlio, la tariffa più economica risulta essere Catania con una retta giornaliera di 2,3 euro, mentre quella più cara Livorno
con una retta di 6,715 euro. Secondo il rapporto “(Non) Tutti a mensa!”, inoltre, 15 Comuni superano la soglia di 5 euro per pasto (100 euro al mese), con Palermo che, nonostante sia in una regione caratterizzata da un basso costo della vita e uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Italia, ha una tariffa di 6 euro a pasto.Effettuando un’analoga simulazione rispetto a una famiglia in situazione di povertà con ISEE di 5000 euro e tre figli, ugualmente si registrano notevoli differenze, a partire dal diritto o meno all’esonero dal pagamento della retta: i comuni di Bolzano, Catania, Padova, Rimini, Salerno e Trento non garantiscono in nessun caso l’esenzione, con le maggiori criticità a Rimini e Padova le cui tariffe mensili sono rispettivamente di 40 e 53,2 euro.Considerando poi le rette applicate, il prezzo del pasto varia, fino ad un massimo di 3,85 euro per Bergamo: “il paradosso è che una famiglia in condizione di povertà a Bergamo si trova a pagare di più di una famiglia con un reddito medio-alto a Trento”, sottolinea Antonella Inverno, Responsabile Policy e Law di Save the Children.Passando all’esame delle riduzioni del pagamento, tariffe ridotte sono previste in tutti i Comuni ma variano, da territorio a territorio, i criteri di accesso al beneficio: se infatti tutti i comuni mappati prevedono riduzioni in base al valore ISEE della famiglia, sono 30 su 45 mappati – il 66% – a prevedere particolari riduzioni per nuclei familiari numerosi e il 25% a garantire la riduzione delle tariffe in casi di sopravvenuta disoccupazione o cambiamenti della situazione economica della
famiglia avvenuti durante l’anno (ISEE Corrente).Riduzioni o esenzioni non sono solo condizionate al reddito: secondo il rapporto di Save the Children, il 57% dei comuni intervistati prevede misure di riduzione e esenzione solo per i residenti, mentre il 43% non prevede nessuna forma di restrizione legata alla residenza.
In base al confronto dei principali dati, emergono, in conclusione, le migliori e peggiori prassi. In particolare i comuni di Cagliari, Forlì e Genova si segnalano
per l’applicazione di criteri agevolativi in risposta alle esigenze di categorie più svantaggiate come ad esempio minori in affido temporaneo; quelli di Bari e Novara per la previsione di misure mirate al sostegno delle famiglie colpite dalla crisi economica, quale la perdita di lavoro; i comuni di Bologna, Firenze, Milano, Livorno, Taranto applicano criteri flessibili e passibili di modifica nel corso dell’anno per ciò che riguarda le tariffe.Prassi invece particolarmente negative si rilevano: nel Comune di Brescia che si distingue per le tariffe tra le più alte, per i criteri molto restrittivi delle esenzioni e per l’esclusione dei figli di genitori morosi dall’accesso al servizio; nel Comune di Salerno che, pur non avendo tariffe particolarmente elevate, non prevede nessuna forma di esenzione per le famiglie in situazioni di disagio e allo stesso tempo esclude i figli di genitori morosi dall’accesso al servizio; nel Comune di Bergamo che ha tariffe molto alte in particolar modo per le famiglie con redditi bassi e prevede l’esenzione dal pagamento solo su richiesta diretta dei servizi sociali. Sono poi da segnalare come
negative le prassi dei comuni di Brescia, Foggia, Modena, Novara, Palermo, Salerno, Sassari e Taranto che escludono i figli dei genitori morosi dal servizio e quelle dei comuni di Bolzano, Trento, Padova, Rimini, Salerno, Catania, per non prevedere nessuna forma di esenzione dal pagamento per famiglie in
situazione di disagio socio-economico.