“I miei modelli? Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino“. Due tra i più famosi autori della storia della letteratura italiana sono i punti di riferimento del giovane scrittore palermitano Pietro Romano. Daily Green l’ha intervistato per conoscerlo meglio.
Pietro Romano e la sua narrativa
Pietro, per iniziare la nostra chiacchierata, direi innanzitutto di presentarti brevemente ai lettori di Daily Green…
Prima di cominciare, vorrei ringraziare lei e i lettori di Daily Green per l’opportunità che mi avete concesso. Sono un giovane studente e frequento la Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo. Ho sin manifestato da bambino grande interesse per la lettura e la scrittura. Il mio sogno è potermi affermare come scrittore e diventare un docente di lettere. È la prima volta che mi cimento nella pubblicazione di una raccolta con il nome di Pietro Romano e ho scelto di farlo proprio con la casa editrice Rupe Mutevole a cui sono molto riconoscente. Scrivo perché voglio trasmettere agli altri l’amore per la vita e il fascino del suo mistero. Quel che non so esprimere a voce riesco meglio a esprimerlo scrivendo. Ed è proprio ciò su cui mi sono a lungo interrogato. La bellezza che s’annida in ognuno di noi difficilmente si fa strada nella sua interezza verso l’esterno proprio perché in essa è riposto un cosmo di sensazioni, uno spazio in cui anima e corpo coincidono. Per tali ragioni, non mi sento del tutto uno scrittore o un poeta. La strada che devo percorrere è lunga e lungo è anche il percorso interiore di chiarificazione. L’occasione della scrittura è data dalla ricerca di una comunione o di una corrispondenza con un itinerario di vita di cui sto tracciando le tappe. E per farlo devo indagare a fondo, capire che cosa significhi realmente scrivere.
Pietro, passiamo a parlare del tuo libro, Il sentimento dell’esserci (Rupe Mutevole, 2015). Nella prefazione alle tue pagine, possiamo notare: “Leggere Pietro Romano, è come vivere brevi flash sonori, l’alternarsi di temporali esistenziali in cui la poesia diviene metamorfosi della coscienza, e della nostalgia dell’amore vero, quello che spezza tutte le barriere”. Ecco, Pietro, volevo domandarti: dove hai tratto l’ispirazione per comporre le tue poesie e quali sono i temi principali del libro?
I termini nei quali ho organizzato la mia riflessione sono quelli tipici del linguaggio filosofico: il sentimento inteso come consapevolezza intimamente acquisita e maturata delle cose del mondo, e l’esserci che corrisponde a un atto di volontà e come tale indicativo del carattere e dell’etica individuali. Ogni ipotesi o tematica viene verificata sulla base della mia esperienza e sulla base della molteplicità delle esperienze umane. Per tali presupposti la raccolta chiarisce fin da subito l’intento ideologico dei miei scritti. La poesia diventa missione. Il senso profondo di instabilità e insicurezza del nostro tempo sono oggetto della mia analisi e il terreno sul quale mi cimento nel tentativo di offrire un’inedita lettura delle cose. La libertà è partecipazione, diceva Gaber. Con la crisi della struttura politico-amministrativa, nel nuovo spazio della globalizzazione, l’individuo è come provato da un impercettibile senso di solitudine di fronte alla totalità del mondo. Impercettibile perché l’uomo oggi pare disporre di tutte le nozioni per intendere il suo funzionamento, ma non la sua profondità. Esasperato localismo e astratto universalismo, senso di annichilimento e miniaturizzazione dell’individuo rispetto alle cose: il tempo della vita si è ridotto a funzionamento astratto, routinario, cerebrale. Il punto è che la vita non può esaurirsi in sé stessa o isolarsi dal groviglio di rapporti in cui è immersa. L’altro è lo specchio che, di rimando, restituisce i contorni del nostro esserci. Esserci, esserci è molto più d’ogni altra cosa, soprattutto se è esserci fra gli altri. È l’invito a oltrepassare la frontiera e abbandonare ogni ostilità o pregiudizio per assaporare non solo l’esperienza del viaggio in sé stesso ma anche quella del travalicare. Si è sempre in movimento anche se apparentemente immobili. Il distacco e il disinteresse sono il frutto di un’emarginazione oggettiva che, come tali, possono essere evitati soltanto prendendo consapevolezza di sé fra gli altri e degli altri nel mondo.
L’attualità e il valore dei temi affrontati dipendono dalla centralità di questa imprescindibile combinazione di termini. Così Kalib, profugo di origini egiziane assurge a figura umana simbolo del riscatto e del peregrinaggio esistenziale; Nino, lavoratore siciliano vittima della crisi economica diventa eroe nostalgico della bellezza e del senso profondo della vita; il pescatore che guarda con occhio dolente al degrado della propria città diviene paladino dei sogni ed eroico rivelatore della potenza rigeneratrice del cosmo. La vera paralisi dell’uomo odierno è dunque rappresentata dall’assenza di questo fondamentale movimento interno, la comprensione di sé stesso e degli altri. Comprendere gli altri, anche chi è degenerato nel male inteso come negazione della coscienza, insistere perché possano riscattarsi e aprirsi verso nuovi sviluppi: forse una grazia dura, esercizio di rara difficoltà che ci mette sempre di fronte alle nostre insicurezze, ma l’unico che disvela la miriade di situazioni possibili e la loro meravigliosa tragicità. Essere un ponte fra altri ponti. Questa, almeno, è la mia vita osservata dal punto di vista di Pietro Romano.
Quali sono i tuoi autori di riferimento, Pietro? Classici o contemporanei?
Mi ispiro a ogni autore che leggo, sia classico che contemporaneo. Il mondo stesso apre le pagine di un libro. In questi ultimi anni, i miei autori di riferimento sono stati Rainer Maria Rilke, Giuseppe Ungaretti e, di recente, Pier Paolo Pasolini. A quest’ultimo, ho anche dedicato con il mio nome, Pietro Romano, uno dei testi che compongono la raccolta. Di Pasolini ammiro la capacità di mettere a fuoco i conflitti e gli stravolgimenti della società di massa e dell’Italia del suo tempo. Di sicuro, è stato uno dei più grandi poeti del nostro Novecento. Dovrebbe considerarsi indissolubile dalla civiltà umana il dovere della verità e l’unione di meditazione e sentimento, e, per questo, inaccettabile che a distanza di quarant’anni dalla sua scomparsa non si sia fatta luce su modi e eventuali mandanti del delitto per non parlare dei continui rinvii e della richiesta di archiviazione del caso. Poi c’è Italo Calvino. Amo leggere Calvino perché ama sentire e vedere il mondo delle cose, cercare di far comprendere che, a seconda della nostra ricettività, tutto ciò che appare così lontano, in realtà non è mai vicino abbastanza: una sorta di umorismo velato aleggia sul gioco combinatorio delle parole e delle immagini da lui elaborate.
Pietro, ci sono altre pubblicazioni di poesia in programma? O ti cimenterai anche con la prosa in futuro, Pietro?
Lo sperimentalismo poetico per me non si arresta qui. Devo tracciare nuove coordinate e direttive entro le quali orientare la ricerca stilistica del Pietro Romano del futuro. Questa fase iniziale del mio lavoro acquista una consapevolezza ideologica e anche critica assai maggiore adesso che ho già iniziato l’elaborazione di un romanzo. L’idea è quella di rappresentare il mondo in cui viviamo e la realtà soggettiva di ciascun individuo mediante il filtro della mia inventiva e dei personaggi che popolano la mia fantasia. Preferisco non anticipare altro, solo che probabilmente porterò a termine il romanzo entro la fine del prossimo anno.
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