Il 19 giugno 1977 il batterista Paul Cook dei Sex Pistols esce dalla stazione della metropolitana di Shepherds Bush. Pensieroso e un po’ assonnato non si avvede di un gruppo di persone che lo sta seguendo. Sono sei ragazzi corpulenti dall’aria strafottente che a grandi falcate cercano di raggiungerlo.
Hey, bastardo!
Lo chiamano: «Bastardo, hey bastardo!» Paul, che ha sentito le voci ma non ha capito le parole, si volta per la curiosità. Immediatamente i sei lo circondano. Sono neonazisti. Appartengono a quel microcosmo variegato cresciuto all’ombra del National Front che ha deciso di combattere una personale battaglia contro gli immigrati, i punk, i tossicodipendenti e gli omosessuali. Cook è visibilmente spaventato, ma trova la forza di mandarli a farsi fottere. «Sei un punk bastardo, checca e drogato, adesso ti ammazziamo!». Improvvisamente nelle loro mani compaiono spranghe di ferro e coltelli. Il batterista dei Sex Pistols evita il primo colpo di coltello, ma non può far nulla contro le spranghe. Ferito scivola lentamente a terra urlando e chiedendo aiuto. Qualcuno chiama la polizia, alcuni passanti intervengono, i nazi scappano.
Una campagna scatenata dall’estrema destra
Il buon Cook è come un cencio lavato e sanguina un po’ dovunque. «Non è niente» dice ai primi soccorritori, ma viene trasportato a forza in ospedale. Il bilancio finale del pestaggio sarà di una quindicina di punti di sutura e una lunga serie di contusioni e lacerazioni varie. L’aggressione fa parte di una campagna feroce scatenata dall’estrema destra contro i punk e, soprattutto, contro i Sex Pistols. Il giorno prima il cantante del gruppo Johnny Rotten e il tecnico Bill Price sono caduti in un altro agguato neonazista nel parcheggio del Pegasus Hotel. Rotten ha avuto la peggio ed è stato ferito al viso e alle mani. Non sarà l’ultima aggressione nei confronti dei Sex Pistols né l’ultimo esempio di violenze contro i punk da parte dell’estrema destra. Ben presto, però, gli aggrediti inizieranno a reagire in modo organizzato ed efficace.