Il 25 maggio 1955 Beniamino Gigli tiene il suo concerto d’addio alla Constitution Hall di Washington. Nato il 20 marzo 1890 a Recanati, ultimo di cinque figli di un calzolaio, fin dalla più tenera età mette in mostra notevoli qualità vocali e una non comune passione per la musica. Le difficili condizioni economiche della famiglia però rischiano di costituire un ostacolo alla sua carriera.
Le fatiche per mantenersi al Santa Cecilia
Nel 1911, insieme al fratello si trasferisce a Roma dove riesce a entrare al liceo musicale di Santa Cecilia adattandosi ai lavori più umili per mantenersi agli studi. Nel 1914, dopo essersi diplomato a pieni voti, vince a Parma il concorso per cantanti lirici che segna l’inizio della sua straordinaria carriera di tenore. Il 15 ottobre dello stesso anno debutta al Teatro Municipale di Rovigo ne “La gioconda”, cui segue la “Manon” di Massenet al Teatro Carlo Felice di Genova. È l’inizio di una carriera folgorante accompagnata da un crescente successo internazionale. Nel numero di maggio del 1924, “Musical America”, la più autorevole rivista internazionale di musica di quegli anni, lo proclama “il più grande tenore del mondo”. La carriera di tenore lirico è accompagnata da un’intensa attività nel campo della musica leggera con successi come Mamma, Ave Maria, Non ti scordar di me o La canzone del cuore oltre a un vasto repertorio di canzoni napoletane. Beniamino Gigli non è l’unico interprete a passare dalla lirica alla canzone senza tradire nessuno dei due generi ma di tutti è quello che lo fa con più naturalezza e con il maggior successo. Negli anni Trenta è senza ombra di dubbio il tenore più popolare del mondo. Ricchissimo, vezzeggiato dai critici e idolatrato dal pubblico, negli Stati Uniti viene insignito ufficialmente del titolo di “erede” del grande Enrico Caruso. A dispetto dei luoghi comuni riesce anche a essere “profeta in patria”. In Italia infatti ha un grande seguito e biografi ufficiali lo definiscono “il cantore del popolo” e ne esaltano la naturalezza e la capacità di cantare “con il cuore e senza artifizi meccanici” mentre il regime fascista cerca di sfruttarne al meglio la popolarità all’interno e all’esterno dei confini.
Tradizionalista e innovatore
Tradizionalista e innovatore al tempo stesso riesce a unire i gusti e le passioni musicali di due secoli. Nelle sue scelte di repertorio, infatti, il melodramma ottocentesco va a braccetto con la melodia popolare della canzone. Il suo repertorio spazia dai grandi autori lirici e classici alle canzoni più in voga senza alcun timore grazie a un’innata musicalità e a una voce particolare, di buon impasto, che, pur non essendo dotata di un’ampiezza eccezionale ha una vastissima gamma di sfumature e di colori capaci di renderla ancora oggi inconfondibile. Dietro al suo straordinario successo c’è anche un grande lavoro di studio e di affinamento che non cessa mai fino alla fine della sua carriera.. Il suo talento e la sua duttilità gli consentono di infrangere le barriere tra generi che apparivano inconciliabili. Le sue interpretazioni ai microfoni dell’EIAR regalano nuovi appassionati alla lirica tra i cultori delle “canzonette” mentre i melomani che l’acclamano come il più noto e amato esecutore del repertorio di Giacomo Donizetti cominciano ad apprezzare le sue incursioni nella musica popolare. Anche il cinema si accorge di lui e ne fa un divo di film musicali alcuni dei quali sono direttamente ispirati alle sue canzoni come “Non ti scordar di me” del 1935 e “Mamma” del 1940. Negli anni Cinquanta, colpito da una grave forma di miocardite, decide di ridurre progressivamente l’attività. Il 25 maggio 1955 tiene il suo ultimo concerto d’addio alla Constitution Hall di Washington. Muore il 30 novembre 1957 nella sua casa di Via Serchio a Roma.