Home C'era una volta Red McKenzie, il cantante dello “stile Chicago”

Red McKenzie, il cantante dello “stile Chicago”

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Il 7 febbraio 1948 a New York la passione per l’alcool e un’inesorabile cirrosi epatica si portano via il quarantottenne Red McKenzie, all’anagrafe William McKenzie, uno dei cantanti più dotati e originali della scena jazzistica degli anni Venti e Trenta.

Un pilastro dello “stile Chicago”

Nato a St. Louis, nel Missouri, si trasferisce successivamente a Washington al seguito dei genitori. La capitale non gli piace e quando, adolescente, resta orfano torna nella sua città dove conosce tutti e trova sempre un modo per arrangiarsi. Si adatta a fare vari mestieri, dal lustrascarpe al fantino, fino a quando scopre che la musica, il suo hobby più amato, può diventare un lavoro. Dopo qualche esperienza minore, nel 1923 dà vita alla formazione dei Mound City Blue Blowers con i quali gira per qualche anno scavalcando anche l’oceano per esibirsi a Londra. Chiusa quell’esperienza lavora con vari artisti prima di partecipare, tra il 1927 e il 1928, a una lunga serie di registrazioni pubblicate con il nome di Red McKenzie & Condon’s Chicagoans o Chicago Rhythm Kings destinate a restare nella storia del jazz “stile Chicago”. Dal 1929 al 1931 recupera il nome di Mound City Blue Blowers per pubblicare una serie di dischi a cui partecipano molti jazzisti di primo piano come Coleman Hawkins e Jack Teagarden.

Dentro e fuori dall’alcol, dentro e fuori dalla musica

Dal 1932 al 1935 diventa il cantante della band di Paul Whiteman senza rinunciare, però, a realizzare progetti diversi e vari dischi, sempre circondato dai migliori musicisti. Deciso a dare un po’ di tranquillità alla sua vita, nel 1935 prende la gestione di un locale a New York nella 52a Strada. La morte della moglie, cui è molto legato, lo annichilisce. Cerca rifugio nell’alcol, torna nella “sua” St. Louis e dimentica quasi del tutto la musica. Periodicamente cede alle insistenze di qualche vecchio amico tornando a esibirsi, ma le sempre più precarie condizioni di salute e l’amicizia con la bottiglia gli impediscono di mantenere gli impegni. Per guadagnare qualche spicciolo si accontenta di lavorare in una fabbrica di birra dove lavora “a giornata” quando è lucido e ha bisogno di soldi. Nel 1944 fa la sua ultima apparizione in pubblico come cantante. Ripulito e tirato a lucido si esibisce in uno dei concerti della band del suo amico Eddie Condon alla Town Hall di New York. Gli ultimi anni della sua vita sono dolorosi e disperati per il costante aggravamento delle condizioni di salute. Con lui scompare, oltre che una figura di grande rilievo della scena jazzistica, un generoso scopritore di talenti.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".