Il 20 novembre 1973 la tournée statunitense degli Who fa tappa a San Francisco. Il quartetto sale sul palco del Cow Palace accolto da un boato, ma fin dalle prime note si capisce che c’è qualche problema. Il batterista Keith Moon è visibilmente ubriaco.
Il crollo di Keith Moon
Prima di iniziare a suonare si è imbottito di tranquillanti e alcool e anche sul palco, tra un brano e l’altro, continua a bere. I compagni lo guardano preoccupati perché, pur abituati alle sue pazzie, temono il tracollo da un momento all’altro. Nonostante tutto, per un’ora la band dà il meglio di sé proponendo numerosi brani di Quadrophenia la nuova, monumentale, opera che, nelle intenzioni del chitarrista Pete Townshend, dovrebbe dare continuità al lavoro iniziato con Tommy. La scaletta del concerto prevede che, terminata l’esecuzione dei nuovi brani, gli Who regalino poi al pubblico una lunga carrellata dei loro successi più famosi. Proprio mentre il gruppo è impegnato in quest’ultima parte, Keith Moon sviene in scena. Inebetito dalla mistura di alcool e tranquillanti scivola a terra dal suo seggiolino privo di sensi e gli infermieri di servizio non possono far altro che portarlo via dal palco. La scena si svolge sotto gli occhi del pubblico ammutolito.
Ci se la sente di suonare la batteria con noi?
Nel silenzio generale Pete Townshend si avvicina al microfono. «Hey, qualcuno tra voi se la sente di sostituire Keith alla batteria?». All’appello risponde un ragazzo che, aiutato dal servizio d’ordine, si fa largo fino al palco. Si chiama Scott Halpin, ha diciannove anni ed è arrivato a San Francisco da Muscatine, nello Iowa. È batterista per hobby e conosce a memoria tutti i brani degli Who, il suo gruppo preferito. Si sistema sul seggiolino mentre il bassista John Entwistle lo rassicura: «Vai via regolare, al resto ci penso io!» Emozionato e incosciente il giovane Halpin suona con gli Who gli ultimi tre brani del concerto e partecipa con il gruppo all’apoteosi finale tra i flash dei fotografi che lo immortalano abbracciato ai suoi musicisti preferiti. I cronisti presenti lo prendono d’assalto nell’intento di catturare le sue sensazioni. Lui, sudato, li guarda con gli occhi stralunati e risponde con un filo di voce: «È stata un’esperienza fantastica, adesso posso anche morire…».