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Maria Carta, la Piaf sarda

Il 22 settembre 1994 dopo una lunga e dolorosa agonia muore a Roma Maria Carta. Conosciuta in tutto il mondo come una grandissima folksinger, termine che altro non è se non la traduzione inglese di “cantante popolare”, non sempre è stata apprezzata in Italia, dove l’ambiente musicale è spesso oscillante tra consumismo e provincialismo culturale.

Ricercatrice e interprete

Straordinaria interprete della cultura musicale sarda nasce a Siligo, in provincia di Sassari nel 1940 in una famiglia contadina e nei primi anni Sessanta inizia a raccogliere e a studiare la cultura musicale della sua terra d’origine. Successivamente va a Roma dove alterna le esibizioni con il lavoro di ricerca presso il Centro studi di musica popolare dell’Accademia S. Cecilia. Ben presto diventa una presenza abituale e conosciuta nel circuito alternativo della città. Il grande pubblico si accorge di lei nel 1972, quando Ennio Morricone la chiama a interpretare la sigla dello sceneggiato televisivo “Mosè”. Nello stesso anno pubblica anche il suo primo album Paradiso in re per la RCA, seguito nel 1973 da Delirio.

Due amori: la musica e la Sardegna

Complice anche il ritrovato interesse di quel periodo per la musica popolare e il folk, la voce di Maria, passionale e dal timbro drammatico, conquista il pubblico di tutto il mondo. È molto apprezzata negli Stati Uniti e, soprattutto, in Francia, dove viene soprannominata “la Piaf sarda”. Cantante istintiva, trasferisce nelle sue canzoni il lungo lavoro di ricerca sui canti della sua regione svolto soprattutto in Logudoro, Barbagia, Gallura e Campidano. In lei la cultura della tradizione, che corre spesso sul filo della memoria, si mescola alla curiosità per le nuove sonorità. Il suo lavoro è considerato una preziosa anticipazione di quel genere che, dopo Peter Gabriel, verrà universalmente chiamato World Music. Il suo impegno non è, però, solo musicale. Quando il Partito Comunista Italiano le offre una candidatura lei accetta e viene eletta alla Camera dei Deputati. Non rinuncia però alla musica e continua a percorrere i teatri e le piazze d’Italia e del mondo con i suoi canti nei quali la cultura del popolo sardo si fonde con le universali aspirazioni di libertà e democrazia. Lei, la sua voce e la sua chitarra. Nient’altro.

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