Home C'era una volta Grazie Bessie Smith! Firmato Janis

Grazie Bessie Smith! Firmato Janis

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Janis Joplin nell’estate del 1970 ha da poco debuttato con la Full Tilt Boogie Band e deve iniziare le sedute di registrazione del suo nuovo album. Da tempo, però, continua a dire agli amici di voler saldare un misterioso debito. L’8 agosto 1970 fa collocare a sue spese una lapide di ringraziamento sulla tomba della grande Bessie Smith, l’Imperatrice del blues che riposa dal 1937 nel cimitero di Mount Lawn presso Derby, in Pennsylvania.

Devo tutto a lei

A chi gliene chiede la ragione spiega «Devo tutto a lei: il mio modo di cantare, la mia passione per la musica, i suoni e i colori della mie interpretazioni. Spesso ho sentito la sua presenza accanto a me e ne ho tratto forza e conforto». Si lascia poi andare a una serie di considerazioni violente contro la vergogna della discriminazione razziale. Il razzismo, a suo dire, è una vergogna che pesa su tutti i bianchi degli Stati Uniti. Le parole di Janis si riferiscono alle circostanze della morte di Bessie Smith, solitamente attribuita a un generico “ritardo nei soccorsi”, quando non a “circostanze oscure”. In realtà, sostiene, non c’è niente di più chiaro delle circostanze che hanno provocato la morte di Bessie Smith. Lo scenario è quello dell’America del 1937. La cantante viene coinvolta, nella notte tra il 25 e il 26 settembre, in un incidente stradale nelle vicinanze di Clarksdale, nello stato del Mississippi.

È morta perchè è nera

Agli occhi dei primi soccorritori le condizioni della cantante appaiono molto gravi tanto che si decide di trasportarla al pronto soccorso del più vicino ospedale. Pur essendo stato avvertito per tempo, però, il personale di turno dell’ospedale si rifiuta di accettare il corpo martoriato della cantante perché è nera. In quegli anni negli stati del Sud vige ancora un regime di separazione razziale ed è quasi normale per una clinica riservata ai bianchi rifiutare le cure a un corpo sofferente dalla pelle nera. A nulla valgono le proteste. I soccorritori devono risalire sulle loro auto e tentare una nuova disperata corsa verso l’ospedale afro-americano di Clarksdale. Dopo una notte intera senza soccorsi, le cure dei medici non possono far altro che alleviare i dolori dell’agonia. Alle prime ore dell’alba la donna che era stata insignita del titolo di “Imperatrice del blues” e applaudita in tutti gli States cessa di vivere. Questa è la storia che con le sue parole e con la lapide Janis Joplin tenta di far rivivere nella coscienza dell’America degli anni Settanta. È un grido che chiede rabbia e giustizia a un paese che non sa e non vuole ricordare il passato.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".