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I collages di Antonio Agresti e la cultura del riciclo

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Antonio Agresti

Antonio Agresti, classe 1961, nato a Formia e cresciuto a Napoli. Vive a Roma e si esprime attraverso la tecnica del collage, utilizzanto vecchi manifesti strappati per strada.

Antonio Agresti viaggia continuamente tra Formia, Napoli e Roma e come architetto lavora nella pubblica amministrazione: un lavoro pesante perchè il suo ruolo è quello di affidare alle persone più indigenti le case sequestrate alla malavita.

Ma questa è solo una parte della sua vita perché Antonio Agresti è anche un artista che si esprime attraverso la tecnica del collage, arricchito però con un tema – se così si può chiamare – molto attuale, quello del riuso, mostrando così il suo lato più giocoso, lontano dall’emergenza e dalla sofferenza con la quale si misura quotidianamente. Ecco qui la nostra intervista.

Antonio Agresti
Antonio Agresti

Antonio Agresti, allora, raccontaci di te e di come è nata questa passione…

Lavoro nella pubblica amministrazione ed è vero, il mio è un lavoro molto stressante, così attraverso i miei collage recupero tutta la mia parte più gioiosa, la mia energia e metto in questo lavoro tutta la mia voglia di vivere.

Gran parte della mia vita si è svolta a Napoli, ma vivo a Roma dal 2005: Napoli è una città bellissima e anche molto creativa, però le possibilità che hai per esprimerti sono troppo poche . La mia passione per i collage invece è nata per caso: una mia amica architetto, molto tempo fa, mi ha consigliato di seguire un corso di questa tecnica usando semplici fogli di carta e io le ho dato ascolto. E’ stata una bellissima esperienza che poi ho continuato autonomamente nei miei viaggi in treno tra Napoli Formia e Roma, con pezzi di carta e colla che portavo sempre con me.

Prima che nascesse questo desiderio di esprimerti, c’era già dentro di te una predisposizione per l’arte?

Si c’è sempre stata, però mi divertivo soltanto a fare disegni con la matita… in fondo gli architetti sono anche un po’ artisti. Poi con la colla è nato un vero e proprio progetto artistico, anche perché lavorare con le mani è sempre stato un grande amore: a tempo perso riciclavo e trasformavo mobili e costruivo lampade, usando sempre materiale di scarto.

Un giorno, mi ricordo, passeggiando per via Sistina mi sono soffermato a guardare un manifesto strappato che mi colpì perché era irregolare ed astratto. L’astrazione era data dall’irregolarità della presenza della colla su questo fondo, al quale era stato strappato il manifesto superiore… era come una dimensione acquatica e da lì è nato il mio primo collage costruito strappando pezzi di quel manifesto.
Ho iniziato a lavorare su questo concetto sostanzialmente perché si possiede così il contributo della storia e del tempo. Il manifesto è sempre esposto all’aria, all’acqua, al sole e così si deforma….il contributo del tempo…

Che cos’è che realmente t’ispira per fare un quadro?

Innanzi tutto nella mia cultura di adulto c’è sempre la pop art.
Io sono italianissimo e quindi come dimenticare Burri e le qualità espressive della sua materia: il cellophan, la tela….
Poi il grande Mimmo Rotella e i suoi “decollages” degli anni ’70, da cui è nata una scuola francese a lui ispirata.
Rotella fa però un procedimento inverso al mio, ovvero prende un manifesto e, strappando, ci toglie dei pezzi e delle immagini fino ad arrivare a quello che gli interessa, quello che lui considera arte.
I miei quadri sono invece una sorta di pittura a secco perché perdono l’elemento compositivo originario che viene poi ricomposto a mio piacimento.

Un altro artista che amo molto è Arturo Herrera, venezuelano , che fa delle cose bellissime: anche lui ha iniziato a fare il collage con pochi mezzi…. ad ogni modo tutti i grandi artisti hanno fatto il collage.

Qual è invece il valore del riuso nella tua arte?

L’usura certamente è un valore aggiunto. Il recupero di qualcosa che andrebbe distrutto, un materiale che certamente andrebbe al macero è un elemento essenziale. L’idea che possiamo recuperare quello che va distrutto, l’idea di poter dare alle cose una nuova vita, ha un valore che va al di là dell’arte in se.

E’ anche il frutto della mia esperienza buddista, o meglio la mia dedizione alla filosofia del Sutra del Loto, che seguo ormai da più di 20 anni; un modo di vedere la vita che mi ha fatto capire molte cose e soprattutto che la nostra vita, la nostra energia sana si nutre della melma, di ciò che non è prezioso. Soltanto da lì troviamo la forza e l’energia, dalle situazioni di sofferenza, da quello che ci fa soffrire per poi poter trasformare il nostro lato oscuro in un fiore bianco candido e profumato, il loto nella simbologia del buddismo. Che nel mio caso sono anche le mie opere.

Sarebbe interessante capire cos’è che ti colpisce di un manifesto; cosa c’è dietro all’opera che poi nascerà, cos’è che succede prima della composizione vera e propria.

Innanzi tutto strappare per me ha sempre un valore simbolico; così posso creare una trasformazione, è come urlare verso la società capitalistica che vuole distruggere per farci comprare sempre nuove cose.
Invece non dobbiamo sprecare le energie che abbiamo, perchè le possiamo ricostruire .
Il nuovo non deve essere per forza “ex novo”. Recuperare è un gesto importante verso una vita, che è di apertura alla vita.
In questo modo io do sempre una possibilità, una chance.
Per tornare alla tua domanda però, devo aggiungere che, facendo un lavoro piuttosto stressante, vivo un grosso conflitto: il mio lavoro quotidiano è la mia parte responsabile (devo guadagnare e lo faccio al meglio), l’altra parte di me, quella più ribelle, lavora anche quando cammino per strada.
Molto probabilmente devo dare una risposta alla mia natura e succede che, prima di iniziare a creare un mio collage, sento la tensione e cerco di calmarmi, ma poi scarico sul lavoro parte di questa rabbia, che è poi la rabbia esistenziale che proviamo tutti.

Generalmente faccio delle foto, attraverso degli step e poi incollo quando sono soddisfatto.

E’ importante ricordare che i miei collage non coprono mai tutta la superficie del foglio, perché lasciare la parte bianca del foglio, mi permette di ricordare lo strappo, l’origine (strappo mentre cammino\ ritorno a casa\ metabolizzo).
Non è un vezzo, ma solo il modo di ricordare l’origine è come ritornare all’alfa del mio percorso.

L’arte è una forma di terapia che ci mette di fronte alla nostra natura interiore.
Ogni opera è una sfida con noi stessi, perché non sai mai se riuscirai ad ottenere quello che vuoi ottenere.

Qual’è secondo te il valore dell’opera?

Penso che il valore dell’opera sia nel fatto che stiamo dando un pezzo di vita, di amore. E anche che dall’ordinario si può arrivare sempre allo straordinario.
Quando lavoro sul mio tavolo del collage sono una persona molto felice.

Qual è stato il momento in cui hai realizzato che il tuo hobby poteva trasformarsi in un vero e proprio lavoro?

Nel 2012 c’è stato un vero giro di boa. Avevo investito tutta la mia esistenza in una relazione dalla quale invece ho avuto una grande delusione… come dire…. ho fatto un investimento sbagliato.
Un giorno d’agosto l’ho realizzato, ma ho anche sentito il bisogno di rinascere, di rimettere in gioco la mia energia, di ripartire da me stesso. Così ho iniziato proprio da li: ho fatto vedere i miei lavori ad una mia cara amica, la quale mi ha messo in contatto con una persona che organizza mostre nella provincia di Latina e così ho avuto la possibilità di fare la mia prima mostra, a maggio dello scorso anno, sulla scala rossa della Feltrinelli a Latina (2013). Ho esposto 22 opere di carta su 22 pannelli di plexiglass. E’ stato un successo!
Lavoravo tutta la settimana e strappavo i manifesti come un pazzo! Li accatastavo e il sabato e la domenica invece di andare a divertirmi con gli amici o andarmene in giro, me ne stavo ad incollare a casa mia.
Questo primo successo mi ha molto incoraggiato; da qui la mia ricerca ha avuto un’evoluzione e in qualche modo ho trovato la mia identità. La seconda mostra, sempre a Roma, è stata in un caffè letterario, a novembre. Anche lì con un grande successo di pubblico e vendita. Poi in una birreria nel quartiere Ostiense, in un ambiente particolare: i proprietari sono molto sensibili al tema del riciclo (Hopside). Le pareti del locale sono rivestite di doghe di legno riciclato e offrono birra artigianale. Ho sempre amato i locali alternativi e le situazioni atipiche.antonio agresti

Per ora comunque la tua arte resta circoscritta in Italia o prevedi delle aperture verso l’estero?

Ho venduto in America con l’aiuto di mia sorella che vive lì e anche attraverso il sito. All’estero ho dei progetti, in particolare per il prossimo anno, a New York e a Los Angeles in due gallerie ma anche in posti alternativi. A Roma anche in due o tre posti diversi.

Progetti per il futuro?

Vorrei aprire una scuola laboratorio e fare un’esperienza collettiva.
Incontrare l’arte è stata fondamentale per me, ho ritrovato la voglia di vivere e mi piacerebbe poter condividere questa esperienza, perché qualsiasi persona sofferente potrebbe trovare, attraverso il collage, una luce per muoversi nel buio quotidiano e ritrovare la strada, anche con mezzi poveri.
Mai chiudersi nel narcisismo egoistico e nell’autocelebrazione: la sofferenza si può trasformare, può nobilitare e diventare altro.

Per approfondire, il blog di Antonio Agresti